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giovedì 25 aprile 2024

''Le donne del digiuno'': intervista al fotografo Francesco Francaviglia

29-10-2014
"Con questa mostra non avevo nessuna intenzione artistica, né sono un mafiologo": ha cominciato così il fotografo Francesco Francaviglia a presentare il suo lavoro "Le donne del digiuno", attualmente in esposizione alla Galleria degli Uffizi. Un'idea nata circa un anno fa, senza nessuna pianificazione. "Stavo lavorando ad un altro progetto, ma dopo aver letto un articolo in biblioteca l'ho momentaneamente accantonato per fare spazio a questo", infatti racconta che è stata una produzione intensa, di poche settimane. A spingerlo a narrare la storia di queste donne che tanti anni fa intrapresero un'iniziativa di protesta, sono due ragioni: una personale, dato che ritiene la fotografia come esplorazione di se stessi e come strumento di dialogo, ed una sociale, intendendo le foto strumento di narrazione più immediato della parola scritta. Come fotografo ritrattista si è posto l'obiettivo del recupero della memoria di un evento che, all'epoca, non ebbe la risonanza mediatica che gli spettava. Le sette promotrici - alle quali se ne sono poi aggiunte altre - delle giornate di digiuno a Palermo decisero questa forma di rimostranza non solo contro la mafia, ma anche contro chi occupava i posti di potere nelle istituzioni, facendo per la prima volta nome e cognome di chi volevano si dimettesse. Rita Borsellino ha raccontato spesso che il suo impegno civile cominciò il giorno in cui vide il manifesto dell'iniziativa.
Le sessioni fotografiche, ricorda Francaviglia, sono state intense. Dovendo recuperare il ricordo di quei giorni, molte donne hanno avuto bisogno di superare una prima fase di timida riservatezza che ha permesso loro di tenere ad una certa distanza la memoria della protesta. Tutti gli incontri cominciavano con sguardi schivi, quasi fuori camera, per poi finire con un faccia a faccia, lo sguardo diretto in camera. "Io ero spettatore del loro racconto", con il quale ognuna di loro ha risvegliato la rabbia, l'energia di quella storia. Anche per questo il fotografo ha scelto di usare un diaframma apertissimo, che permette di avere poca profondità di campo e pochi elementi a fuoco, così da far risaltare l'essenza e quasi far dimenticare che sono ritratti; "Volevo la libertà dei soggetti, volevo che si annullasse tutto il resto rispetto agli occhi, che sono i protagonisti". Lo sfondo nero invece testimonia la mancanza di giustizia, il silenzio.
Questo, però, non è un lavoro che Francaviglia ha fatto per unirsi a quella parte del movimento contro la mafia che si nutre di retorica e di vanità "la retorica la voglio lontana. Questa mostra è un veicolo per raccontare una storia".

"La mafia si nutre del consenso della società civile", ma "queste donne hanno protestato per il valore della dignità dell'uomo"

Senti di aver dato il tuo contributo a questo mentre le fotografavi?
Assolutamente sì. Come uomo e come fotografo. Perché come uomo lo fai semplicemente vivendo una passione, e non è detto che gli altri vengano a conoscenza di questo tuo sentire, come fotografo ho la possibilità invece di comunicarlo all'esterno e di veicolare questo messaggio. Per cui questa è la spinta primordiale del mio lavoro.

Quindi hai scelto la fotografia come mezzo espressivo per questo motivo?
Ho scelto la fotografia perché mi permetteva di comunicare con gli altri, infatti faccio ritratti proprio perché è quel settore della fotografia che mi permette di tessere un rapporto di intimità, di complicità e scoperta dell'altro. Ho 32 anni e per 16 ho studiato musica: questo significa che stai otto ore al giorno chiuso ad esercitarti, studiare, quindi da solo; quando raggiungi la tua maturità in termini di competenza, inizi a suonare con gli altri, ma anche stando in questo contesto in cui apprentemente c'è un dialogo, un confronto, comunque rimani da solo. Questa sorta di isolamento ad un certo punto della mia vita non l'ho più retto. Avevo bisogno del dialogo con gli altri e il ritratto è la cosa che più di tutte mi ha dato questa possibilità.

Con questo lavoro, che riguarda un evento di oltre 20 anni fa ma che è anche una porta sul futuro, ti senti di aver dato un messaggio alle nuove generazioni che non hanno vissuto quei momenti?
Io penso che questo lavoro sia la prova, la testimonianza, di un passaggio di testimone. Queste donne erano in piazza 22 anni fa, con questa mostra sono ritornate in piazza, e non lo avevamo messo in conto: non avrebbe senso riproporre il duplicato di un evento storico, lo abbiamo fatto con altre modalità, un'altra forma ed un'altra veste. Il fatto che io a 32 anni, e quindi una generazione diversa dalla loro, mi sia interessato al recupero di questa storia è la risposta alla tua domanda. Inoltre il fatto che nel libro degli ospiti di questa mostra ci siano delle firme di bambini che scrivono frasi del tipo "molto bella questa mostra è importante per me" e scrivono anche l'età, significa che questo lavoro sta avendo una valenza anche come passaggio di testimone.
La prossima fase, per quanto mi riguarda, è pensare a come portare questa testimonianza nelle scuole, che non è nulla di nuovo, perchè è quello che molte di queste donne già fanno.

Dal punto di vista tecnico, avevi già fatto ritratti in questo modo, con lo sfondo nero, la messa a fuoco così stretta?
Sì, di ritratti su sfondo nero ne ho fatti, però prevalentemente attori, dato che mi piace molto fotografarli su sfondo nero per cogliere il mistero che nasconde la figura dell'attore in sé. Per quanto riguarda la messa a fuoco, questi sono i primi ritratti in cui faccio una sfocatura così forte, perché non volevo che ci fossero appigli, avevo bisogno di una sensazione di liquidità, di ritratti che emergessero da un liquido, quindi la sfocatura, la mancanza di punti fermi nel ritratto, mi ha aiutato a trasformare in immagine questa sensazione.



a cura di Fiammetta Pibiri