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mercoledì 24 aprile 2024

David Grossman al Politeama Pratese: una lezione di scrittura, civiltà e vita

07-12-2015
Cosa distingue uno scrittore da un grande scrittore? Non sono le vendite, il numero di bestseller in carriera o i premi collezionati negli anni. Sono l'empatia, la totale immersione nella realtà attorno e in quella da lui creata, la capacità di servirsi della parola come un'occasione per riflettere più a fondo. È lo sguardo sul mondo, capace ancora di stupirsi e stupire. 
Ed è tutto questo a rendere grande David Grossman. Grandissimo.

Lo scrittore e saggista israeliano, uno dei più importanti al mondo, è stato protagonista del secondo incontro di "Uomini in guerra", rassegna organizzata dal Centro Pecci di Prato e curata dal giornalista Wlodek Goldkorn. Un incontro che, vista l'alta affluenza prevista, è stato eccezionalmente ospitato sul palco del Teatro Politeama Pratese e le previsioni sono state ampiamente confermate, se non superate. Centinaia e centinaia di persone hanno gremito la platea del teatro e, per oltre un'ora, si sono lasciate ammaliare dalle parole di Grossman, dai suoi pensieri sulla scrittura e sull'essere un buon narratore, ma anche dalle sue riflessioni in merito all'attualità, al terrorismo di matrice islamica e al conflitto israelo-palestinese che sta dilaniando due popoli da 120 anni.

Ciò che affascina ancor di più di Grossman, ascoltandolo, è il suo modo di parlare lieve, capace di connettersi profondamente ad ognuno dei presenti in sala. Poetico ed empatico, vero e proprio riflesso della sua stessa scrittura.
Come sottolineato da Goldkorn, l'autore israeliano si distingue per la sua capacità di "entrare nei personaggi e renderli così veri da diventare universali, sa trasfigurare la realtà in immaginazione". Grossman scrive di politica solamente in saggi o articoli, ma nonostante ciò i suoi romanzi possono essere considerati politici nel più alto senso del termine, perché "danno sempre un'alternativa, la possibilità di vivere un'altra vita", di immaginarci un'esistenza diversa e non più utopistica, ma reale. Ecco, Grossman è capace di dare speranza, di "portare luce fuori dalle tenebre": esattamente ciò che accade nel suo ultimo libro per bambini "La principessa del sole" che, come tutte le storie da lui scritte per i più piccoli, cerca e trova un punto di incontro tra la realtà, la quotidianità di momenti domestici, e la magia. Una magia che è calata sulla stessa platea, quando l'autore ha preso il libro tra le mani e ne ha letto alcuni passaggi nella sua lingua, in ebraico.

Il dialogo con Grossman, poi, si è spostato sulla scrittura: partendo dalla frase di Conrad "Scrivere un buon libro è di per sé una buona azione", ci siamo infatti chiesti cosa sia davvero importante, quale sia la missione di un autore.
La risposta di Grossman ha regalato una vera e propria lezione di scrittura ai presenti: "Quando si scrive un libro, si deve creare un mondo armonioso come un corpo umano, ricreare la melodia interiore che sentiamo in un corpo sano".
Ciò che è importante nella scrittura, per Grossman, è "insistere sulle sfumature: in un mondo formulato dai media e pieno di cliché, dobbiamo ricordarci che ogni situazione umana è densa di complessità e strati, dove saper dare un nome a tutto". Questo è un punto fondamentale: saper dare un nome a ogni cosa anche quando risulta maledettamente difficile ed è ciò che accaduto allo stesso autore dopo la morte del figlio ventenne Uri, rimasto ucciso nel 2006 durante la guerra del Libano contro Hezbollah. Inizialmente Grossman sentiva di non avere più niente da dire, poi qualcosa è cambiato ed è riuscito a parlarne in "Caduto fuori dal tempo", romanzo che racconta la perdita di un figlio e diventa lettera d'amore per il suo Uri: "Dovevo trovare le parole, volevo documentare ogni sfumatura di ciò che sentivo, altrimenti avrei negato tutto, sarei scappato dalle responsabilità. A volte preferiamo un distacco dalla realtà, non avere i piedi piantati nella vita e in questo i clichè ci aiutano, ci proteggono. Noi invece dobbiamo sempre dare un nome alla realtà, anche se può riaprire una ferita: documentare tutto della vita, momenti belli e momenti brutti".

Nel raccontare ogni sfumatura della realtà, il legame con i suoi personaggi si fa intenso, viscerale, profondamente intimo: "Permetto loro di invadermi: anche quando scrivo di un cane, voglio toccare l'esistenza con altre sfumature, entrare in contatto con la vita in modo diverso". Grossman va incontro al personaggio da lui creato e fa cadere ogni muro di carta e inchiostro, diventando coraggiosamente una cosa sola: "Non ci piace mai l'idea di essere abitati da un'altra persona: quando scrivo, invece, voglio espandere la mia esistenza, essere di più".
Una coesione, tra il sè e l'altro, che è segno della sua stessa grandezza, segno di un'empatia che esce potente dalle parole condivise con le centinaia di persone presenti al Politeama: "Il mondo esterno è terrificante: noi dobbiamo aprirci, esporci alla singolarità, saper leggere la realtà con gli occhi del nostro nemico".
L'empatia, infatti, deve combattere quell'indifferenza che ci rende ciechi, che non fa vedere le ferite degli altri e il loro dolore, ma è necessario porre un limite: "Deve esserci una linea rossa nell'empatia, altrimenti diventa vaga e sospettosa: dobbiamo fare delle differenze" - e si collega all'attualità - "Io non provo empatia per chi uccide qualcuno in nome della diversità. Ad esempio, io non posso provare empatia per l'Isis: con loro non esiste alcuna possibilità di dialogo".
Un dialogo che invece è l'unica soluzione per risolvere il conflitto tra Israeliani e Palestinesi, dopo oltre un secolo di ferite di odio e guerra. Quali sono, quindi, le speranze di Grossman sul futuro? "Non posso permettermi il lusso della disperazione. Pensando al futuro di Israeliani e Palestinesi, non vedo un film hollywoodiano dove andare incontro al tramonto tenendoci per mano, ma vedo persone tormentate, con l'anima distorta dalla paura. Persone che non credono più nella pace, che pensano ormai si debba vivere così, in stato di guerra. Questa è follia. Se però entrambi, Israeliani e Palestinesi, saremo sufficientemente coraggiosi da capire di avere lo stesso interesse a vivere una vita con dignità e senza paura, a creare un compromesso di buonsenso, le cose cambieranno. Non so se ci riusciremo, ma solo il dialogo ha il potere di cambiare le persone. Solo guardando il mondo con gli occhi del nemico, potremo entrare in contatto con la vera realtà".
Solo così sarà possibile "portare luce fuori dalle tenebre".

di Alessandra Toni