Da giovedì 19 a domenica 22 novembre il Cinema Spazio Uno presenta "Woman in Gold", il film diretto da Simon Curtis che racconta la vera storia di Maria Altmann e della sua lotta per recuperare il quadro di Klimt sequestrato dai nazisti decenni prima.
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Non esiste solamente l'Olocausto", dice un personaggio secondario di
"Woman in Gold".
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Good point", gli risponderebbe l'inglese Simon Curtis. Esistono altre storie, infatti, altre ingiustizie e altri massacri. Ma cos'è, allora, che, dopo più di 80 anni, induce ancora i registi a tornare su quei dolorosi fatti, sui loro protagonisti e sui loro devastanti e aberranti effetti? Il genocidio degli ebrei perpetrato dai nazisti è un tema-contenitore, una matrioska con al centro ora la vendetta, ora il valore della memoria, ora la fuga e il bisogno di inventarsi una nuova esistenza, ora una più ampia riflessione sull'identità. Nel secondo film del regista di "Marilyn" questi spunti ci sono tutti e coesistono pacificamente e placidamente in un racconto che più classico non si può. In Maria Altman c'è, guarda un po', qualcosa dello stesso Simon Curtis – britannico di origine ebreo-polacca che "certe cose" le ha sentite raccontare in famiglia. C'è anche l'intero ventesimo secolo, racchiuso fra la Vienna dove fiorirono la musica, la pittura e la psicoanalisi, e Los Angeles, capitale della moderna cultura (il cinema) e simbolo di un pase che ha accolto tanti ebrei in fuga. C'è, infine, il ritratto della generazione che "non sa", quella che viene dopo i padri che non hanno potuto rimuovere. Prima di loro c'erano i nonni, che hanno subìto o espiato, e che hanno custodito il ricordo una giovinezza rubata. "Woman in Gold" è dedicato a loro.
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