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giovedì 28 marzo 2024

''Non toccare la pelle del drago'' di Giuseppe Genna

14-01-2003
Ideale seguito di Nel nome di Ishmael (Mondadori, 2001), Non toccare la pelle del drago è ancora più torbido, oscuro e pessimista del suo predecessore. Come cellule in metastasi in un organismo malato, la corruzione, la deriva del potere, le grandi trame politiche si allargano a dismisura passando (o tornando) dall'Italia all'Europa. “Requiem per un'Europa mai nata”, così le note di copertina presentano il romanzo di Giuseppe Genna che, effettivamente, è ben più di un'opera di genere, tutt'altro che uno sterile lamento pseudo-cronistico nei confronti di guasti e magagne della già putrescente neonata UE. Con il suo personalissimo stile, a metà tra saggio e pop art, l'autore ci trasporta nel “nuovo Eldorado della libertà a poco prezzo”, l'Europa appunto, in un viaggio allucinato per gironi infernali popolati da diavoli à la page in completo antracite, botulino e stipendi milionari: dalla grigia Milano alla Torino agnelliana, da Amsterdam ad Amburgo, a una Montecarlo milieu -metafora di ipocrisia e di sfavillante malaffare. L'Europa che Genna racconta, o meglio sarebbe dire sottopone ad autopsia, è quella attuale, ormai destinata ad essere abbandonata dallo Zio Sam, preoccupato di curare i propri interessi in altre e più remunerative zone del globo. In questo contesto si snodano il plot e la tesi fantapolitica (mica tanto, forse) che il romanzo racchiude: dopo l'America, la Cina come futura padrona del Vecchio Continente e del mondo, forte di una coesione mistico-politica di nazionalismo e Taoismo, di un'umile dignità e potenza che permette ai suoi cittadini/affiliati di costruire in ogni dove efficacissime miniature della casa madre. La colonizzazione, sembra dire l'autore per bocca e bestemmie del suo antieroe Guido Lopez, è già in atto, a base di immigrazione clandestina, usura, traffico di droga e di organi; con il placet dei papaveri di Bruxelles e la goduria dei voracissimi avvoltoi in attesa di partecipare al banchetto, salvo poi lasciarci le penne. Uno scenario inquietante quanto realistico, raccontato con il solito linguaggio “a fotemi” (termine che tanto piace all'autore): concitato eppure ricercato; spiazzante e geometrico nella sua indagatrice precisione; fastidioso a volte nel suo ostentato machismo ; cinicamente, lucidamente nichilista. In definitiva, politicamente hardboiled , nell'apparente rifiuto del politico e dell'ideologia; estremamente postmoderno nel coniugare la lezione dei classici noir con l'iconografia e l'inconscio collettivo della nostra generazione.