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mercoledì 24 aprile 2024

Motus in ''Iovadovia'' al Teatro Studio di Scandicci

29-01-2011
Il 28 e 29 gennaio i Motus presentano "Iovadovia" al Teatro Studio, in via Donizetti 58 a Scandicci, alle ore 21.00. E' il terzo contest del progetto Syrma Antigònes, che elabora i temi della tragedia greca tramite dialoghi-confronti che affrontano domande, urgenze e sollecitazioni di riflesso alla possibile rilettura di una splendente Antigone d’oggi. In Iovadovia Antigone-Silvia Calderoni cerca Tiresia-Gabriella Rusticali, un contest improbabile che vede gli spettatori testimoni immessi nel luogo scenico intorno alle attrici. Silvia evoca l’altro fratello ucciso in Grecia nel 2008 Alexis Grigoropoulos, e il contest si declina sulle note di un abbandono, un viaggio verso la morte-camera oscura per Antigone e l’indistinto che attende Tiresia.
“E questa luce sacra del sole non potrò più vederla?” si chiede Antigone mentre è condotta alla tomba. Ma è proprio così?  Qui “l’attrice che interpreta Antigone”, dopo tanta pubblica esposizione, si pone in rivolta verso il “nero” di se stessa, per tentare una utopica riflessione sulla percezione (e l’azione) artistica. Cerca Tiresia, privato della vista per “aver troppo visto”, fra volti sconosciuti, sul bordo di un lago nero, senza fondo, in una specie di accampamento mobile, come i tanti sorti dal nulla ai margini delle metropoli, costruiti da quelli che hanno perso spazio vitale a seguito “della crisi” o semplicemente hanno deciso di andarevia. Il “luogo oscuro” è condiviso e illuminato dagli sguardi degli spettatori, anche in questo caso immessi nello spazio scenico, testimoni del confronto che qui assume una forma circolare, magica. La trilogia si conclude dunque con un contest  impossibile: le attrici “giocano” i ruoli d’Antigone e Tiresia, in una atmosfera sospesa, atemporale, sincretica. Anche se nella tragedia non s’incontrano, ci paiono accomunate da una sorta di “sguardo partecipante”, che spinge ad agire, nel caso di Antigone, o a testimoniare –  esporsi nel dire e pre-dire – nel caso di Tiresia. I loro sguardi eccessivi sono attratti da quel punto limite che i greci chiamano Ate, un labile confine fra vita e morte, che solo brevemente può essere varcato.
Info: www.scandiccicultura.it