Il ricordo peggiore di Arif Takveen sono i due giorni passati nell'aeroporto di Kabul, un anno fa, in bilico tra il suo Paese e il resto del mondo, il regime e la libertà, la persecuzione e la salvezza. I talebani avevano da poco preso il potere dell'Afghanistan. “Sono riuscito a varcare la porta dell'aeroporto, dietro di me una folla di persone invece non ce l'ha fatta” ricorda. Arif è riuscito, dopo 48 lunghissime ore, a salire su un volo ed è arrivato in Italia: ha trascorso alcune settimane a Roma, qualche mese nel Centro di Accoglienza Straordinaria di Perugia prima di essere accolto, a maggio, in una struttura di Villa Monticini a Tavarnuzze che fa parte della rete Sai-Sistema Accoglienza Integrazione, gestita dalla Fondazione Solidarietà Caritas Onlus di Firenze.
Qui studia l'italiano e sogna di portare avanti quelle che sono le sue passioni e in Afghanistan erano anche un lavoro: la fotografia e il cinema. Arif, 32 anni, infatti è un fotografo e videomaker, ha collaborato con l'associazione Bamiyan Culture and Art House, organizzando festival, spettacoli di teatro e documentari, dando voce alle donne afghane e raccontando la condizione femminile nel Paese. Ha lavorato con molti gruppi artistici nazionali e internazionali, e con l'Afghan Film Directorate, che è un dipartimento del governo. Dopo essersi trasferito a Kabul ha collaborato con Aga Khan Foundation Afghanistan portando in scena le leggende tradizionali afghane, un patrimonio culturale tramandato solo oralmente. Ha vinto numerosi premi nel suo Paese e fuori, ma per la sua appartenenza a una minoranza etnica e per la sua attività e i temi trattati, quando i telabani hanno riconquistato il potere nell'estate 2021 è stato costretto a fuggire, lasciando lì a malincuore la sua famiglia.
“Non era più l'Afghanistan che conoscevo” racconta. “Quando i talebani sono arrivati a Bamiyan ero lì per attività teatrali e ho visto con i miei occhi quando hanno sparato ai Buddha. Era impossibile abituarmi a vedere giovani di 16 anni girare armati di fucile e compiere reati in nome della religione, ma che in realtà sono con l'Islam: i talebani conoscono solo la lingua della violenza, non il dialogo”.
Il suo Afghanistan, quello che si porta nel cuore, quello fatto di donne e uomini e di paesaggi unici, Arif lo ha raccontato sabato sera durante la presentazione di un reportage fotografico e di due documentari che portano la sua firma: la serata “Raccontando Arif... percorsi di libertà artistica nell’oppressione” si è tenuta a Casa Corelli a Firenze, promossa da Fondazione Solidarietà Caritas Onlus, Comune di Firenze e Sai.
Arif vorrebbe continuare a lavorare nel mondo del cinema, della fotografia e del teatro, per questo sta studiando giorno e notte l'italiano, con determinazione e impegno (quando è arrivato a Firenze non conosceva una parola di italiano, ora lo comprende) nella speranza di trovare al più presto un lavoro che gli permetta di uscire dalla struttura Sai e crearsi una nuova vita e un futuro. Gli operatori di Fondazione Solidarietà Caritas lo stanno aiutando a trovare la sua strada anche in Italia.
“L'obiettivo del Sistema Accoglienza Integrazione - spiega Vincenzo Lucchetti, presidente della Fondazione Solidarietà Caritas - è il raggiungimento dell’autonomia individuale dei beneficiari accolti, intesa come una loro effettiva emancipazione dal bisogno di ricevere assistenza. Ogni ospite viene assistito da un'equipe multidisciplinare, e segue un percorso personalizzato, diventando protagonista attivo del proprio progetto di accoglienza e di inclusione sociale”.
Per maggiori informazioni: www.caritasfirenze.it