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sabato 02 novembre 2024
Nuova programmazione settimanale del Cinema Spazio Uno di Firenze
25-11-2021
Ecco la programmazione del Cinema Spazio Uno di Firenze (via del Sole, 10) che da giovedì 25 novembre a mercoledì 1 dicembre 2021 proietterà i seguenti film:
"FREAKS OUT" di Gabriele Mainetti "Freaks Out" segna il ritorno alla regia di Gabriele Mainetti cinque anni dopo "Lo chiamavano Jeeg Robot". È evidente fin dalle prime immagini di "Freaks Out" che Mainetti ha ben presente l'opera di Tim Burton e ha assorbito la lezione del cinema internazionale: del resto ha studiato regia e girato i primi lavori alla New York University. Ma la sua universalità è ben radicata nella sua italianità, mai rinnegata e anzi messa in primo piano, "così come Leone ha portato la sua romanità nel mondo. Quando guardo i suoi film mi sento a casa mia, ma i suoi film riescono a parlare a tutti, in Italia come all'estero. La capacità di navigare emotivamente è il grande potenziale che rende il cinema italiano internazionale". Per questo "Freaks Out", già dalle prime immagini, tracima emozione. Del resto, come per Steven Spielberg, "il cinema è il gioco di raccontare storie per toccare il nostro bambino interiore". Ma bisogna restare aderenti ad una forma filmica precisa, che "è difficile da mantenere nel momento in cui vuoi emozionare". "Mario Monicelli si ispirava alla commedia dell'arte", ricorda Mainetti. E quella commedia è fatta di archetipi che le maschere sintetizzano. Nella galleria di "mostri" che "Freaks Out" dichiara di essere fin dal titolo, ognuno è già visivamente una maschera, della quale dobbiamo però scoprire l'umanità sottostante, "e lavorare sulla tridimensionalità dei personaggi: come in "Jeeg Robot", dove c'erano maschere tragiche che fanno ridere". I protagonisti di "Freaks Out" non sono eroi senza macchia e senza paura, non portano sulle spalle il destino dell’umanità. Agli occhi del mondo sono scherzi della natura, creature bestiali che a furia di essere additati come fenomeni da baraccone, iniziano a convincersene e quasi ad autocommiserarsi. Dentro di loro, però, arde un’umanità incontenibile: soffrono, gioiscono, amano e sbagliano come chiunque altro. Sono freaks dotati di superpoteri, certo, ma per prima cosa esseri umani.
"MADRES PARALELAS" di Pedro Almodòvar Pedro Almodóvar, dopo il Leone d’Oro alla carriera del 2019, quest’anno ha avuto il compito di aprire Venezia 78 con "Madres Paralelas". Selezionato come film d’apertura della Mostra, dove la protagonista Penelope Cruz è stata premiata con la Coppa Volpi, "Madres paralelas" -un’opera insolitamente realista e profondamente teatrale- è dedicata a due “madri imperfette” e insieme alla memoria storica della guerra civile spagnola. Se con "Dolor y Gloria" il regista spagnolo aveva messo in scena la sua infanzia e reso omaggio a sua madre, con "Madres Paralelas" ecco che l’attenzione di Almodóvar si sposta verso una maternità più contemporanea e, per sua stessa ammissione, imperfetta. Un film che parla di memoria e sentimenti, istinto e legami di sangue ma che allarga il suo campo d’indagine alla genetica di un Paese, la Spagna, che ancora oggi non riesce a mettere la parola "fine" ad una pagina di Storia vergognosa, quella dei desaparecidos che ancora oggi aspettano che gli sia ridata la dignità di un nome e di una tomba. La maternità di due donne e quella di un Paese che ha dimenticato i propri figli. "Madres Paralelas", tra la prova intensa dei suoi interpreti – su tutti la Cruz che porta sulle sue spalle buona parte del film – e le tematiche trattate, parla di identità su due binari paralleli come quelli delle vite delle due protagoniste che finiscono per intrecciarsi e diventare un tutt’uno. Un mélo che si tinge di pennellate lievi di thriller mentre parla di memoria storica e del bisogno di andare a fondo e di abbracciare il dolore (collettivo) per poter fare pace con il passato e riuscire ad immaginare il futuro. Un futuro che è ora.
"FRIDA KAHLO" di Ali Ray Chi era Frida Kahlo? Impossibile trovare una risposta univoca, tanto era contraddittoria e molteplice la personalità di questa donna da poter affermare che siano esistite molte Frida diverse. E forse nessuna di loro fu come lei avrebbe voluto essere. A indagare la figura della pittrice messicana arriva ora il docufilm "Frida Kahlo" di Ali Ray: un invito a guardare oltre il volto che tutti abbiamo impresso in mente e a conoscere Frida grazie alle testimonianze di chi ha avuto la fortuna di incontrarla, frequentarla e amarla, ma anche di storici dell’arte, critici ed esperti impegnati a studiarne l’opera. È la stessa artista a disseminare la strada di indizi: i soggetti della pittura, dice in una lettera, “sono i miei stati d’animo e i segni che la vita ha lasciato su di me”. “Non mi aspetto dalla mia opera se non la soddisfazione che traggo dall’esprimere ciò che altrimenti non potrei dire a parole”, spiega semplicemente l’artista. Nelle sue opere possiamo rintracciare temi al centro dell’agenda contemporanea, dal femminile alla disabilità, fino alla fluidità di genere. Ma il valore del film di Ali Ray sta soprattutto nell’andare oltre le narrazioni date per scontate, oltre il fascino di immagini forti ma ormai viste e riviste, per mostrarci i motivi dell’originalità e della novità radicale di Frida: la sua resistenza a stili, mode e correnti, la capacità di elaborare un linguaggio unico mescolando mondi distanti anni luce in immaginifici “film dipinti”, la totale osmosi tra arte e vita, la volontà di mettersi a nudo disintegrando i tabù più scabrosi, di trasformare la pittura in terapia e quest’ultima in capolavoro. “I suoi quadri sono come una bomba infiocchettata”, scrive André Breton. Lei risponderà tempo dopo: “Pensavano fossi surrealista, ma non lo ero. Non ho mai dipinto sogni, ho dipinto la mia realtà”. Se all’inizio della carriera le gallerie messicane rifiutano i suoi quadri perché “troppo strampalati”, più tardi ad apprezzarli saranno giganti del calibro di Kandinsky, Mirò, Picasso, Tanguy.