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giovedì 25 aprile 2024

Amiss, o di un eterno istante zero che abbatte il futuro

20-06-2016

2015, estate: una località come tante, un'abitazione come tante, una compagnia di persone come tante. Quattro uomini. Tre donne (due bambini) . Un cadavere, quello del padrone di casa. Una storia, che ruota attorno a quest'ultimo, Amiss.
Parliamo dell’omonimo romanzo – edito da Sef, Società Editrice fiorentina – di Niccolò Grossi (il poeta del disincanto, ricordate?).


Grossi ci racconta la vicenda di questo fascinoso e sfuggente personaggio, e lo fa partendo dalla fine, dal "grande sonno", da quando Amiss viene trovato privo di vita. La morte improvvisa, un colpevole da trovare: il classico plot di un giallo.
Una morte "apparente", quella del protagonista, perché da quel momento le voci narranti lo fanno tornare in vita, ne svelano vizi e virtù. Chi inizia a parlarci di Amiss è Lelia, ma poi la sua voce si interseca con quelle degli altri. Ci sono quindi tutti gli elementi del romanzo corale, il paradigma del teatro greco, la polifonia narrativa; ma anche il mistero della stanza chiusa (Leroux, Ellery Queen, Van Dine) e la riunione del gruppo che veglia il cadavere (Poe e Agatha Christie).

Un personaggio che non prende mai la parola, perché…non smette mai di parlare. L’intrusione tecnologica nell’evoluzione del rapporto uomo-macchina: un televisore, perennemente sintonizzato sull’evoluzione della "Grexit", la crisi economica (ma, ben più, esistenziale) greca, nei caldi giorni dell’OXI, delle elezioni, dei contemporanei sbarchi di profughi.
Una vicenda di cui il lettore vuol sapere i retroscena, dunque, una storia da raccontare con taglio giornalistico, cronachistico...e invece no. La prima scelta forte dell'autore è questa, il rifiuto del modello classico di narrazione. La contemporaneità viene descritta con un'alternanza di prosa e poesia (e pure sfrontate autocitazioni dalle sue due raccolte di poesia) in uno stile, il prosimetro, con impegnativi capostipiti come Seneca e Petronio, di nuovo, due autori "classici".

Qualcosa non torna, verrebbe da pensare: il rifiuto del classico per il tramite di un canovaccio classico. Qual è la via per conoscere davvero Amiss?
Già da tale nome, un nome "parlante" (altro richiamo alla tradizione antica), si intuisce che siamo di fronte a qualcuno di straordinario. Amiss, che in iglese vuol dire "sbagliato", "che non va", ma anche "per il verso storto", "fuori posto", "obliquo alla vita". Che sia il primo indizio sul quale indagare, questo nome?
Amiss, un inglesismo: del resto fin dalle prime pagine il romanzo è pieno di termini stranieri, "musicali". La musicalità delle parole, di nuovo una tradizione che deriva dall'antica Grecia. E poi la costruzione da pièce teatrale: ci sono un prologo, un interludio, ci sarà un epilogo.
Nel corso del racconto la macchina si alterna all’uomo: la televisione, sempre accesa, che descrive le ore di angoscia della Grecia moderna travolta dalla crisi economica. Tsipras, Varoufakis, Schäuble, personaggi all'interno di un disastro collettivo, nomi e numeri mischiati insieme, mentre un paese va al collasso. Il monitor che emette immagini e suoni, sempre gli stessi volti, quelli della troika europea che vuole affossare un popolo, quelli del governo ellenico, che quel popolo vorrebbe invece salvare (ma i semi di altre chiavi lettura l’autore sparge nel corso del cammino). Protagonisti involontari e onnipresenti, reali e virtuali. Virtuali come i numeri che algoritmi impazziti, generati da un computer troppo infallibile per non essere erroneo, hanno vomitato senza freni, causando una tragedia. La tragedia, elemento classico, elemento che accomuna il destino di Amiss e la Grecia. Uno sconosciuto HAL 9000 che, in spregio alla certezza matematica della propria esattezza, fallisce rovinosamente. Ancora un indizio, uno dei tanti che Grossi semina tra le pagine, citazioni che offrono solo possibili interpretazioni, non risposte. Come un novello Citizen Kane, anche Amiss ha la sua Rosebud, forse reale, forse virtuale...
Non sarà semplice scoprire la verità, del resto, dopo sei anni (da tanto in realtà si protrae la crisi esplosa nel 2015), nessuno è ancora riuscito a spiegare cosa sia successo con Atene, con la Grecia, con l'Europa.

Amiss ammicca al romanzo post-moderno, beve da Thomas Pynchon e David Foster Wallace. Costruito nella rilettura del teatro di Pinter, fra citazioni vere (con noncurante abbattimento del senso del tempo, dallo Jugendalbum di Schumann ai testi dei pezzi di Lali Puna) e inventate (un mai esistito concerto per ocarina e orchestra di Bartók), si stende in poco più di cento pagine di ossuta narrazione che ammicca ma non indulge, avvita ma non di nascosto, annoda ma infine scioglie. E lascia comunque un messaggio di speranza condivisa: nel rischio – forse questo il vero mistero della vicenda di Amiss – che l'umanità si infligga un’accecata fine comune, l’unica salvezza è forse la scelta di un’anima collettiva…

Leonardo Signoria