Dopo il grande successo del Toscana Pride dello scorso giugno, Firenze è tornata a tingersi dei colori dell’arcobaleno grazie al Florence Queer Festival, una settimana completamente dedicata ai film a tematica LGBTQI, quest’anno ospitata nei locali de
Il Florence Queer Festival è una tappa ormai irrinunciabile per gli appassionati di cinema e per i sostenitori dei diritti LGBTQI. Nonostante l’atmosfera generale all’interno del rinnovato cinema fosse abbastanza austera, a tratti sofisticata, al #FQF era tangibile l’area di accoglienza e partecipazione, un po’ come se il motto principale fosse “Non importa chi sei, grazie per essere qui a supportarci”. E credo sia stato proprio questo lo spirito che gli organizzatori volevano creare anche attraverso i film inseriti nel programma, interessanti e mai banali. I coraggiosi che sono usciti di casa di sabato mattina prima di mezzogiorno, hanno avuto la possibilità di lasciarsi catturare dal carisma e dalle parole di Veronica Pivetti che, prima della proiezione del suo film di debutto come regista, Né Giulietta Né Romeo, ha dichiarato: “Ho voluto raccontare la storia di Rocco perché la questione non è solo politica, ma anche familiare. Dovremmo guardare la trave che abbiamo nell’occhio, non la pagliuzza. Dovremmo immedesimarci, capire, imparare”. E riguardo il suo personaggio di madre sconvolta dal coming out del figlio: “Olga è una madre aperta a parole, ma nei fatti non lo è per niente. Mi è piaciuto crearla e interpretarla perché volevo capire cosa porta un genitore a non accettare la natura del proprio figlio” e conclude “Un figlio che dichiara la propria omosessualità dovrebbe essere apprezzato perché vuol dire che ha preso piena coscienza di sé, ed è una cosa molto importante”. In novanta minuti, quindi, viene raccontata la storia di Rocco e del coming out con la famiglia. Dopo aver ricevuto reazioni contrastanti da parte dei genitori, complice il concerto di Jody McGee – fittizia rockstar e icona gay – il ragazzo si ritrova a intraprendere un lungo viaggio con i suoi due migliori amici, la madre e la nonna, in cui tutti impareranno a conoscersi e ad accettarsi per quello che sono. Una pellicola che tratta argomenti importanti con toni drammatici, lasciando spazio anche a siparietti comici ma intelligenti e mai banali. I dialoghi brillanti e l’ottimo finale rendono il film abbastanza piacevole, nonostante la visione un po’ stereotipata dell’ambiente gay. Esilarante la nonna di Rocco, interpretata da Pia Engleberth, che fa da giusta contrapposizione all’apparente austerità di Olga/Veronica Pivetti
Sono riuscito a scampare dalla raffica di vento che ha colpito Firenze la scorsa domenica pomeriggio partecipando alla prima proiezione toscana di Varichina, docu-fiction realizzata da Antonio Palumbo e Mariangela Barbanente, liberamente ispirata alla vita di Lorenzo “Varichina” De Santis, il primo gay barese a urlare pubblicamente la sua diversità. Attraverso testimonianze reali e ricostruzioni video viene raccontata la vita di questo personaggio fuori dagli schemi che, a cavallo degli anni ’70 e gli anni ’90, decise di non vergognarsi, di non essere ipocrita. Jeans strappati, infradito, camicia a fiori arrotolata sopra l’ombellico e capelli lunghi, folti e vaporosi che smuove vanitosamente con una mano, Varichina si presenta così, in tutta la sua esuberanza. La pellicola alterna continuamente i racconti di chi lo conosceva davvero e le ricostruzioni interpretate magistralmente da Totò Ottis. Molto interessanti sono le testimonianze di quelle che erano le vicine di casa di Varichina, che hanno raccontato un aspetto diverso del personaggio, che soffre per colpa dell’abbandono da parte della famiglia e per la solitudine: “Ci ritrovavamo nel cortile a parlare di merletti, tendine e lenzuola. E naturalmente, ogni volta che passava un bel ragazzo lui ammiccava…” raccontano “Si fidava di noi, ma per strada non ci salutava mai, non voleva metterci in difficoltà con chi, invece, proprio non lo accettava.” Ed è per strada che Lorenzo dà vita a dei veri propri show. Volgare e sfacciato in ogni sua mossa, ammicca, saluta e non si sorprende se riceve degli insulti, come se fosse pienamente consapevole che devono fare necessariamente parte del gioco. Cinquanta minuti di documentario scorrono veloce, lo spettatore viene accolto nella vita di Varichina e inizia a comprendere le sua esuberanza, il suo essere meravigliosamente eccessivo e orgogliosamente volgare. Molto interessante ed introspettiva la parte dedicata alla vita sessuale di Lorenzo, impegnata a smascherare il velo di ipocrisia che regnava in quegli anni, il cui simbolo è la frase che il protagonista pronuncia prima e dopo l’ennesimo incontro erotico con un altro prestante giovanotto confuso: “tutt’ddò avit’a vnì.” Il film si conclude con Varichina che guarda il mare barese con uno sguardo malinconico, a tratti triste, tipico di chi è consapevole della propria condizione, ma che è pronto a lottare. E probabilmente è stato proprio questo spirito di orgogliosa lotta per essere se stessi che ha portato il film a vincere una menzione speciale, del tutto meritata. Durante l’incontro con il pubblico successivo alla proiezione, una dei registi, Mariangela Barbanente, ha dichiarato: “Lorenzo non poteva essere felice, sarebbe stato impossibile. Ma rivendicava con tutto se stesso il diritto di vivere” mostrando come un regista deve entrare nel profondo e conoscere ogni minimo dettaglio della storia che vuole raccontare per poter creare un film interessate e coinvolgente come il suo.
Durante l’ultimo giorno di proiezioni, ho partecipato alla prima del documentario dedicato alla vita di Ivan Cattaneo. Nel corso di una passeggiata al Cimitero Monumentale di Milano, l’eclettico artista ripercorre i momenti salienti della sua vita privata e personale. Dal coming out in famiglia al debutto sulle scene, fino al momento in cui ha dovuto dichiararsi pubblicamente e subire le conseguenze di una società ancora ignorante e poco preparata in materia. “Il tempo è una carta vetrata che ci consuma la vita. Io oggi ho un po’ di borse sotto gli occhi, ma c’ho messo così tanto per farle crescere, come diceva
La mia esperienza al Florence Queer Festival si conclude con un po’ di stanchezza per le troppe ore seduto in poltrona, ma soprattutto con la soddisfazione di aver conosciuto nuove sfaccettature, nuovi colori di questo grande arcobaleno che è la comunità LGBTQI, così complicata in tutta la sua bellezza, come tutte le cose belle.
Vincenzo D’Angelo