Candidata come migliore attrice protagonista per pellicole cinematografiche, tra cui Ricordati di me di Muccino, e vincitrice per capolavori come La stanza del figlio di Nanni Moretti, Laura Morante all’esordio fiorentino de La locandiera sorprende il pubblico. Sguardi attoniti e sgomenti si scambiano gli spettatori che, alla prima al Teatro della Pergola, hanno appena finito di vedere il primo atto di questa commedia.
Forse, definirla commedia è riduttivo: la messinscena con la regia di Roberto Andò è letteralmente un mistero. Ma a differenza dei misteri che possono venire in mente questo non si risolve del tutto neanche alla fine: sta allo spettatore tirare le fila e trovare la propria personale ragione di ciò che ha visto.
Sin dalla prima scena, infatti, il pubblico è chiamato sul palco tramite un gigantesco specchio opaco, uno dei pochi elementi che costituisce la scenografia di Gianni Carluccio, insieme ad un bancone da reception e una tavola imbandita.
Come è noto, lo specchio è simbolo di rivelazione, riconoscimento, demistificazione, uno specchio non si limita a riflettere, uno specchio svela: e qui ci sono parecchi fatti da illuminare. Due dei commensali sono attrici, ma più la storia procede più è chiaro che tutti i personaggi stanno recitando: tutti nascondono e sono essi stessi un mistero, misteri diversi, misteri celati, accompagnati dal ritmo incalzante delle musiche di Hubert Westkemper.
Non sorprende che lo scenografo sia anche il responsabile del disegno luci: esse infatti sono parte integrante delle scena, capaci di creare diversi ambienti contemporaneamente meglio di muri divisori, focalizzando l’attenzione del pubblico.
La locandiera di Goldoni è solo una traccia per quest’opera riletta da Edoardo Erba. Qui non si trovano un conte e un marchese del diciottesimo secolo, piuttosto siedono accanto alle due attrici due imprenditori, Poli, che conserva la presunzione del Marchese di Forlipopoli goldoniano, e Albi, con la stessa arroganza del Conte di Albafiorita. Per qualche ragione, chiarita velocemente, i due arrivano insieme alle due attrici, Deja e Orte, al bed&breakfast dei coniugi Mira e Rando.
Cercano quest’ultimo, temporaneamente assente, perciò l’impacciata e imbarazzata Mira offre loro la cena, tentando di intrattenerli con la sua buona parlantina e cercando disperato rifugio, tra una portata e l’altra, nel contabile Brizio, la sua stella polare in quell’oceano di mistero. Ma Brizio è schivo, sfuggente, e Mira è sola. Fin quando non giunge Riva, l’alter ego del cavaliere di Ripafratta, anche lui in cerca del marito di Mira.
L’arrivo di Riva getta scompiglio in quell’assurda brigata, all’incirca lo stesso che si diffonde in sala non appena il sipario si chiude e si fa avanti la consapevolezza che è terminato il primo atto. “Che fine ha fatto Goldoni?” si domandano gli spettatori, “Che cos’è questa mise en scène a metà tra il giallo e il noir?” Perciò terranno gli occhi fissi sul palcoscenico nell’ultimo atto per non perdersi neanche un dettaglio.
Eppure, nonostante lo sforzo di attenzione, c’è qualcosa che spiazza il pubblico: Mira non è più Mira. È schietta, adesso, abile, padrona della situazione, sono gli altri ad apparire sperduti e infastiditi dall’assenza di Rando. E Riva si svela per quello che è.
La vicenda prosegue con un colpo, letteralmente, di scena, con la fuga trafelata di quei commensali risoluti ora in preda al panico e con la definitiva gloriosa vittoria di Mira su tutti, con la sua rivalsa come donna e come imprenditrice.
Ed è nei secondi che chiudono l’ultima scena, che si scorge, con l’aria pungente e furba, la cinica Mirandolina. E liberatorio come ora è libera Mira, un po’ confuso come lo è stata lei nel primo atto, prorompe l’applauso del pubblico. La Morante affianca a pieno diritto le Locandiere storiche del teatro italiano, Valeria Moriconi e Carla Gravina.
I costumi di Alessandro Lai sono azzeccati: elegante nella sua semplicità quello di Mira, appariscenti quelli delle due attrici, mise da ufficio per i due imprenditori, giacca seria per Ripa, completo cupo per Brizio.
Questa pièce è sorprendente nel complesso, geniale nei voluti depistaggi e nella scelta dello specchio, piccante e da guardarsi col fiato sospeso. Ciascuna scena serve per portare lo spettatore su una strada sbagliata, soltanto alla fine questo si accorge che progressivamente gli erano stati forniti gli indizi per capire.
Tuttavia è facile che abbia deluso gli affezionati a Goldoni e che abbia lasciato troppi dubbi in chi segue un mistero a patto che in conclusione si risolva. Difficile trovare un significato per alcune scene in cui venivano sì proposte le personalità controverse dei personaggi, ma senza poi che venissero approfondite, motivate, spiegate.
Locandiera B&B è una messa in scena che lascia dei punti interrogativi, nel bene e nel male.
Laura Pelissier, 18 anni, studentessa del Liceo Scientifico “Antonio Gramsci” di Firenze, con questo articolo ha vinto in ex aequo con Chiara Donati il concorso Reporter a Teatro indetto dal Portalegiovani del Comune di Firenze e dalla Fondazione Teatro della Toscana.