A teatro un dramma familiare a tinte ironiche e dall’intrinseca assurdità Le sorelle Materassi, nato dal romanzo di Aldo Palazzeschi, debutta al cinquantesimo Festival Teatrale di Borgio Verezzi, a Savona, nell’ agosto 2016, e in tournée in tutta Italia ritorna alla Pergola, nel cuore della bella Firenze, conquistando il pubblico per la terza volta. Il drammaturgo e regista fiorentino Ugo Chiti, autore dell’adattamento teatrale, e il regista Geppy Gleijeses danno vita ad uno spettacolo esemplare. IL pubblico viene catapultato nel sobborgo di Coverciano dei primi anni del Novecento e diventa testimone delle vicende di casa Materassi.
Le nubili, Carolina e Teresa, e la terza sorella Giselda, respinta dal marito, vivono in tranquillità tra ricami e merletti in compagnia della domestica Niobe. Tutto sembra scorrere serenamente fino all’arrivo di Remo, giovane figlio di una quarta sorella morta ad Ancona. Affascinante, pieno di vita e brioso il giovane nipote attira subito le attenzioni delle datate zitelle risvegliando in loro sentimenti ormai sopiti da tempo, nonostante le ammonizioni della sorella minore Giselda. Scaltro approfittatore, Remo diventa ben presto cosciente di poter sfruttare le emozioni di “Zì Cà e Zì Té” per un proprio tornaconto, sperperando i guadagni di una vita di duro lavoro.
Dominano la scena due pilastri del teatro italiano: Milena Vukotic, nei panni di Carolina, e Lucia Poli, in quelli di Teresa. Le due signore del teatro sono diventate le beniamine del pubblico, la prima grazie al successo della serie televisiva Un medico in famiglia in cui la Vukotic, già moglie al cinema di Fantozzi, interpreta nonna Enrica, la seconda in particolare per la parentela con il fratello ed attore Paolo. Non da meno è il contributo di Marilù Prati attrice, autrice ed adattatrice di testi teatrali attiva fin dagli anni Sessanta.
Il regista Gleijeses opta per un attacco in medias res: il sipario si apre con un intrigante/suggestivo gioco di ombre a testimoniare l’incontro tra Teresa, Carolina e il Papa; Chiti ,invece, si concentra sull’aspetto caratteriale dei personaggi. Già da subito il pubblico viene a conoscenza delle differenze tra le due sorelle: una Carolina pudica, ingenua e sognante messa in contrasto con una Teresa energica e schietta, con forti richiami alle attrici televisive degli anni Sessanta Rina Morelli e Sara Ferrati che interpretarono le celebri sorelle.
Chiti poi decide di fare di Giselda un personaggio quasi pirandelliano, ragionatore, a tutti gli effetti coprotagonista, che tira le fila della vicenda svelando la verità ciò che le altre due sorelle sembrano non potere (o meglio non volere) capire. Nella drammaturgia rispettosa del testo di Palazzeschi, Chiti si è forse un po’ allontanato dalla Niobe del romanzo, indugiando troppo su una fiorentinità becera (anche se probabilmente scelta per far ridere) e creando così un personaggio quasi macchiettistico.
Remo, interpretato dall’abile Gabriele Anagni, appare in tutta la sua indole opportunistica e anche violenta, in particolare nel momento in cui rinchiude le due zie costringendole a firmare una cambiale.
Di minor rilievo i personaggi di Palle, fedele amico di Remo, e della frivola Peggy, la ragazza americana che Remo sposa per saziare la propria brama di denaro.
L’atto unico, della durata di un’ora e mezzo, prosegue tutto impostato sulla studiata scenografia di Roberto Crea che, con il contributo dell’esperto light designer Luigi Ascione, dà vita ad un allestimento amaro, triste, grigio, in cui un groviglio di alberi sullo sfondo rappresenta la prigionia delle due ricamatrici fiorentine, caratterizzato da una soffocante malinconia.
I costumi dimessi di zia Teresa e zia Carolina, creati da Ilaria Salgarella, Clara Gonzales, Liz Ccahua, riflettono perfettamente l’assenza di femminilità nella vita delle due signore mentre Giselda, vestita in modo formale ed elegante, si mostra come la donna vissuta ancora a contatto con la realtà contemporanea, a differenza delle sorelle.
Le due ingenue zie si mostrano completamente succubi del nipote ed evadono dalla loro prigionia solo se sollecitate dallo stesso, nella maggior parte dei casi mettendosi in ridicolo: ne sono esempi lo sposalizio di Remo, al quale si presentano vestite come due spose verginelle, e l’uscita alle Cascine, per la quale si agghindano in un modo decisamente kitsch.
L’unica volta in cui hanno realmente desiderato vivere, sedute in macchina con Remo al ritorno dal matrimonio, le loro aspirazioni sono stroncate dal nipote che tanto amano, e che le lascerà in gramaglie.
Collante di questa messinscena e dello stesso romanzo è la fiorentinità e grande è il successo di pubblico con gli attori alla fine sommersi da applausi.
Valentina Nebbiai
Valentina Nebbiai con questo articolo ha partecipato al concorso "Reporter a Teatro" indetto dal Portalegiovani del Comune di Firenze e dalla Fondazione Teatro della Toscana.