L'arte del mascheraio. Intervista ad Agostino, bottegaio e proprietario di “Alice Masks" di Agnese Aquilani. Questo articolo è stato scritto all'Edera Summer Camp, il laboratorio gratuito di Edera Rivista e Informagiovani del Comune di Firenze per giovani su strumenti comunicativi e linguaggio giornalistico in programma dal 17 al 20 giugno 2024 al PARC Performing Arts Research Centre.
Buongiorno Agostino. Ci parli di lei. Che lavoro fa?
«Da ragazzino, ho iniziato creando delle maschere di argilla mentre gli altri uscivano con le fidanzate (ride). Poi sono andato al liceo artistico fino a quando sono arrivato qua a Firenze per frequentare l’Accademia di Belle Arti. Ora, sono un mascheraio e gestisco, insieme a mia figlia Alice, questa bottega (ndr La bottega di maschere in via Faenza 72 R)».
Com’è visto oggi l’artigianato?
«Con l’avvento dei social, molte persone sono convinte che basti guardare i tutorial su YouTube per imparare a “fare con mano”. La bottega invece è fondamentale per esercitarsi e, oltre che allenamento per la mente, è una sorta di terapia».
Tramite l’artigianato, i giovani possono comprendere il valore del “fare con mano”?
«I giovani possono crearsi un posto di lavoro. Ma anche professionisti già avviati come avvocati e medici, vengono qui per creare delle maschere uniche».
Che ruolo giocano i social?
«I social come Instagram, Tik Tok e Facebook sono diventati fondamentali per farsi conoscere. Mia figlia Alice, per esempio, utilizza la pagina Instagram per diffondere l’iniziativa di workshop sulla decorazione delle maschere».
Come si mantiene viva la cultura dell’artigianato nei prossimi anni?
«È importante far sopravvivere le maestranze investendo i propri risparmi e che le istituzioni stanzino dei fondi per la manodopera. Inoltre, bisogna trasmettere questa passione alle nuove generazioni, ma l’artigianato è anche una maniera per favorire l’integrazione tra culture».
Come potrebbero agire le istituzioni?
«Le istituzioni come il Comune e la Regione dovrebbero indirizzare i giovani e i migranti organizzando anche solo una lezione a settimana per un periodo di tre mesi in modo da permettere loro di imparare».
Pensa che possano co-esistere le culture attraverso l’artigianato?
«Per anni c’è stata una fusione tra Nord-Europa, Australia e varie parti dell’America. Per esempio, con un’associazione australiana abbiamo sviluppato un corso per bambini affetti da cancro facciale terminale. È stato un gioco, rendendo divertente e terapeutico un processo di creazione artistica e una situazione reale di sofferenza».
Da quale ambito disciplinare vengono le persone che vogliono imparare quest’arte?
«Sono studenti che studiano tutt’altro, professori che vogliono imparare a dipingere le maschere per insegnarlo ai propri allievi e pensionati».
Quali sono i valori dell’artigianato?
«La tradizione intergenerazionale senza la quale non potrebbe sopravvivere la manodopera, la passione che anima ogni giorno questo mestiere e la necessità di inventare e creare».