Città di Firenze
Home > Webzine > Giovani Reporter > Reporter alla Pergola: ''La perturbante coscienza di un estraneo – Zeno a teatro''
domenica 19 maggio 2024

Reporter alla Pergola: ''La perturbante coscienza di un estraneo – Zeno a teatro''

12-05-2014

“Il teatro è intellettualmente selettivo.” puntualizza Giuseppe Pambieri a metà dell'intervista condotta da Lorella Pellis (Toscana Oggi). Un pubblico assai vasto lo sta ascoltando, dalla platea del Teatro della Pergola, il giorno che segue la prima de “La Coscienza di Zeno”, dove l'attore interpreta l'intricato protagonista. Benché veritiera, la frase mi ha sorpresa: proprio ieri sera il teatro era stracolmo di persone. Classi delle scuole superiori, signori di svariate età, tutti con almeno una vaga idea del romanzo che ci si accingeva a portare in scena. Torno a casa ringraziando dentro di me il grande attore di Varese: mi ha messo una discreta pulce nell'orecchio, resta da vedere se la mia riflessione servirà a liberarmene. Difficile, molto difficile rendere “La Coscienza” quale testo teatrale. Difficile perché nasce come romanzo, un romanzo scomodo a Zeno stesso, le sue memorie, che il famigerato Dottor S. (S quale Sigmund o quale Svevo?) decide di rendere pubbliche per dispetto al suo ex paziente. Costui ci avverte, all'inizio del romanzo... prefazione certo ben nota a chi ha iniziato a sfogliarlo: verità e bugie si susseguono nel racconto di Zeno. Ciò che mancherà al lettore è qualcuno che gli dica quali sono menzogne e quali le cose realmente accadute al protagonista. Non era una mancanza del precedente romanzo di Svevo, “Senilità”, dove lo stesso autore smentiva il personaggio, mostrandoci nero su bianco la sua ipocrisia nel trattare con gli altri. Ma la coscienza non permette intrusioni. Ed in questo la trasposizione teatrale collima perfettamente, secondo la mia opinione, con l'intento di Ettore Schmitz: Pambieri/Zeno si limita a far fluire la sua coscienza, i suoi ricordi, senza spiegarci il perché di alcune scelte. Ho preso in prestito, per la prima parte del titolo, una definizione tratta da un'illuminante prefazione a “La coscienza” scritta da Giovanni Palmieri per l'edizione Giunti del testo. Questo “estraneo” è, come ho felicemente riscontrato anche sul palco, un “eroe moderno della ripetizione”: si ripete nel dirsi che smetterà di fumare, si ripete nell'inventarsi ogni sorta di malattia che potrebbe affliggerlo (e che lo colpisce effettivamente?), si ripete nel dirsi che Augusta è la moglie perfetta, e che quelli con Carla sono “gli ultimi tradimenti”, come si promette (invano) ogni volta. In fondo Zeno non compie altro che un tentativo di autoanalisi, che temevo di vedere demolito a teatro e che invece è stato reso con risultati ottimi. È in questa analisi che si fa avanti “il perturbante” della sua coscienza, sentimento che possiamo definire come una sorta di paura, di spaesamento, che ci attanaglia davanti ad un fatto, ad una persona, ad una situazione. È certo che Svevo lesse personalmente il saggio del signor Freud “Il perturbante” (1919), dove lo psicoanalista definiva questa sensazione aiutandosi con il termine greco “Xenos”, che significa “estraneo”. Notando l'evidente assonanza tra “Zeno” e “Xenos”, è altrettanto apprezzabile il fatto che vedere il protagonista entrare ed uscire dai propri ricordi a suo piacimento, commentarli, ne fa veramente una sorta di estraneo a sé stesso. Il suo curioso atteggiamento, reso alla perfezione nella scena iniziale de “La coscienza di Zeno”, di non riuscire a rimanere disteso sul lettino del Dottor S. è emblematico: questa nel romanzo non è presente, mai si leggeranno dialoghi diretti fra il triestino e il dottore. Ma grazie ad essa, sul palcoscenico, ci viene spiegato il vizio del fumo e il contradditorio rapporto con suo padre, il quale, diversamente dagli altri personaggi, è come evocato dalla memoria di Zeno, che si rivolge a lui con toni premurosi ma sempre guardando nel vuoto, verso la platea. Questa decisione, di non rappresentare la scena dello schiaffo materialmente, è stata molto efficace sia ai fini del pathos, sia perché il ricordo più doloroso di Zeno è anche quello che non riesce a mostrare fino in fondo. Il solo pensiero che l'ultimo atto di lucidità del genitore sia stato colpirlo con violenza è di per sé inaccettabile al fuggiasco protagonista. Erige alibi su alibi, rimorsi e autoassoluzioni, motivazioni fra le più varie per ogni evento doloroso o che non si è svolto secondo le sue aspettative. Quando non può farlo, ecco che subentra la malattia: dolori acuti, zoppicamenti. Difetti vincenti? Secondo il suo interprete, sì. Zeno vince sull'esistenza, mettendosi in gioco così com'è: bizzarro, insicuro mentre gli altri appaiono “(...) immobili, anchilosati, di fronte alle cose della vita.” aggiunge Pambieri in un'altra intervista ad Angela Consagra. E il teatro chiede in fondo questo: mettersi in gioco, avere il coraggio di sedersi, lasciarsi andare, e aspettare che le luci si abbassino. Diventare tutti un po' “Zeno” che, pur con difficoltà, prova ad affrontarsi. Contagiamoci di teatro! Pambieri aveva ragione: non è per tutti. Ma forse molti non sanno cosa si perdono...

Giada Moneti