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domenica 19 maggio 2024

Reporter alla Pergola: ''Il Don Giovanni di Timi: la seduzione del male''

12-05-2014
Dopo Giuliett’e Romeo e Amleto2 Filippo Timi continua il suo percorso di reinterpretazione in chiave pop di testi classici, proponendo questa volta il mito mai tramontato di Don Giovanni. Tra gli interpreti gli attori degli ultimi spettacoli messi in scena da uno degli attori più irriverenti del teatro italiano contemporaneo: Elena Lietti, già Ofelia in Amleto2, Lucia Mascino e Marina Rocco, che avevamo ammirato rispettivamente nei ruoli della Regina madre e di una Marylin Monroe che aveva poco di shakespeariano. Tra le innumerevoli riscritture del Don Giovanni – Molière, Puskin, Hoffman, Byron, per fare solo alcuni esempi – Timi sceglie quella di Mozart-­‐Da Ponte, in verità riconoscibile solo per la scelta dei personaggi e il catalogo delle conquiste. Il regista elabora infatti una versione innovativa del Don Giovanni, pensandolo innanzitutto come suo contemporaneo: Don Ottavio gioca alla play-­‐station, Zerlina e Masetto parlano in dialetto romanesco, Don Giovanni evoca i personaggi dei cartoni animati e la colonna sonora spazia da pezzi di musica classica a Celentano, fino ad arrivare ai Queen, passando per la sigla dell’Uomo Tigre. Ma, al di là delle novità di questa riscrittura, i punti saldi del mito rimangono: lo spettacolo è incentrato sulla figura del seduttore impenitente, assassino e stupratore, circondato da un gruppo di donne ingannate che lo rincorrono, e che alla fine viene portato all’inferno dal Commendatore. Perché per Timi Don Giovanni è il simbolo del male seducente, alla fine giustamente punito con la morte giunta a riscuotere il conto. Le “vittime” di Don Giovanni rappresentano tre tipi molto diversi di donne: Donna Anna è una ragazza magra e rabbiosa che ha subito le violenze del padre, Donna Elvira è una donna romantica esigente e sicura di sé, Zerlina è una semplice campagnola che sta per sposare il suo Masetto. Impossibile non innamorarsi di don Giovanni – lo stesso Timi ammette di essere stato sedotto dall’eroe decadente – perché egli sa esattamente ciò di cui hanno bisogno queste donne e, da bravo attore qual è, seduce e inganna qualsiasi rappresentante del genere femminile gli capiti sotto tiro, di ogni età e classe sociale, con una concezione “democratica” dell’amore e del sesso. Il geniale seduttore aiuta Donna Anna a conoscere se stessa e le sue parti represse, riempie Donna Elvira di attenzioni affettuose e incanta Zerlina con promesse di una vita migliore fatta di fontane di cioccolata e ricchezze. Ma accanto al lato comico, il seduttore irreprensibile rivela la sua natura malinconica: come l’Amleto del precedente spettacolo scritto e interpretato da Timi, Don Giovanni è un attore annoiato, stanco di ripetere il suo ruolo sempre uguale a se stesso. Un ruolo dentro il quale si trova, suo malgrado, intrappolato, incapace di fare qualcosa di diverso dal sedurre e vivere in continua sfida con la morte. L’eroe si affanna senza tregua per collezionare nuove conquiste, ma in realtà non riesce a godere veramente di nessuna. Don Giovanni dà feste, diverte, fa regali, ma in fondo è un uomo triste, che vive in costante rapporto con la morte e non cerca di sfuggire a essa: all’inizio dello spettacolo tenta il suicidio, poi lo vediamo indifferente all’arrivo della folla di gente che sta per irrompere a casa sua, e infine si abbandona alla morte come inesorabile destino già scritto. L’interprete-­‐regista confida nell’importanza dei costumi, rappresentanti l’essenza stessa dei personaggi. “L’anima di Don Giovanni è il suo costume” sentenzia Timi, facendo sue le parole di un critico ottocentesco. Il protagonista cambia più volte abito di scena, ma i più memorabili sono sicuramente il lungo mantello di fiori colorati che ne rappresentano l’estro e la stravaganza e la pelliccia di capelli di donne con trecce e fiocchetti che ci ricordano la sua anima di cacciatore di donne. Altrettanto emblematici i costumi delle interpreti femminili: l’abito nero bordato di pizzo rosa di Donna Anna testimonia il lutto e l’austerità di una ragazzina vittima della violenza, gli abiti sfarzosi dall’ampia gabbia di Donna Elvira ne riproducono l’esuberanza e l’eccesso, infine il vestito lezioso da bambola di porcellana di Zerlina simboleggia la vita tranquilla della piccola campagnola. La comicità del Don Giovanni di Timi sta tutta nella risata facile basata sui riferimenti alla televisione – Topo Gigio, per dare un’idea del livello – , sui video demenziali di YouTube proiettati sullo sfondo senza collegamenti diretti alle scene e sulla volgarità del linguaggio. Una continua provocazione: la defecazione in scena del nostro eroe, la parodia della crocifissione, lo spogliarello, molto apprezzato dal pubblico, del protagonista… Timi mette quindi in scena un Don Giovanni dissacrante e decadente che indigna e offende, che si gode la vita e non si cura delle conseguenze delle sue azioni, ma vive solo secondo la sua natura senza mai rinnegare se stesso.

Elisa Grimaldi