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domenica 19 maggio 2024

Reporter alla Pergola: ''Non Si Sa Come''

12-05-2014
Il teatro. Il luogo per eccellenza dove la cultura può sentirsi libera di esprimersi in ogni sua forma artistica. La Pergola. È sempre stato il mio teatro preferito. Ogni qual volta il mio pensiero vi si volge riecheggiano nella memoria immagini sontuose ed eleganti nelle quali il marmo è il protagonista assoluto. Non sinonimo di sfarzo, ma di elevatezza artistica, singolare cura di ogni dettaglio, ricercatezza di una gioiosa semplicità. Saliti i primi tre gradini esterni, si apre la porta d’ingresso, quella centrale, è allora che tutto intorno l’ambiente cambia, si trasfigura. Sei sempre a Firenze, sì, ma è come se fossi stato catapultato in un’era che non ti appartiene temporalmente ma nel cuore sì, ne respiri a pieno l’atmosfera. I biglietti in mano, salgo la scalinata, percorro l’alto atrio colonnato dirigendomi verso la platea. Mentre cammino verso i posti designati mi pervade la sensazione di essere un’infinitesima parte dell’universo, di essere estremamente piccola dinanzi alla maestosità architettonica che stasera per qualche ora potrò ritenere casa. È accogliente e confortevole, un abbraccio di luci incorniciano la visuale e l’orizzonte coincide con il punto di incontro tra il termine del vellutato sipario ed il palcoscenico. Non posso fare a meno di alzare lo sguardo verso la volta affrescata che mi sovrasta nella sua immensità, una sola sfuggevole occhiata, per mantenere immutata la memoria del luogo a me tanto caro. Mi siedo, persone sconosciute dividono il bracciolo delle poltroncine di rosso ornate e la travolgente passione per l’arte, la cultura, l’innovazione. Poi un brivido, come una leggera scossa. Le luci diventano soffuse, l’allegro chiacchiericcio di poco prima diventa brusio infine silenzio. Il livello di arousal sale. Mille quesiti adombrano la fronte. Ho letto quasi tutte le opere di Pirandello, non ho la presunzione di dire di conoscerle a menadito, ma Non si sa come questa mi era sfuggita, passata in sordina, obnubilata dalla fama delle altre. Le luci si spengono, si dissolvono i pregiudizi e le futili aspettative. - Si prega di tenere spenti i cellulari. Inizia la magia… Più nessuno intorno, il palco svanisce, siamo catapultati nella vita di personaggi dall’animo travagliato. Sul palco un quartetto d’archi indossa maschere di coccodrillo a prima vista, sono lucertole in realtà, lo capiremo strada facendo. Suonano una melodia che torna numerose volte ed enfatizza i momenti chiave della vicenda. Sono rimasta piacevolmente colpita dal significato e dall’analogia che la scelta di indossare le maschere di tale animale implica: la lucertola, personificazione del male, che spinge l’uomo a commettere un peccato, una colpa che segnerà la sua vita per sempre, l’omicidio di un ragazzino coetaneo in questo caso, la cacciata dell’uomo dal Paradiso Terrestre nella Bibbia. La lucertola, mitologicamente antenata del serpente, condannato a strisciare sul ventre per aver allontanato l’uomo da Dio, nell’ultimo atto percorre sinuoso tutto il palco soffermandosi dinanzi ai personaggi che hanno compiuto tradimento. Su questo l’opera s’incentra. Il tradimento del coniuge, dell’amico fidato, della moralità e la corruzione dell’animo. Basta aver commesso un grave errore una volta, che l’animo ne rimane coinvolto e, turbato, tenta di celarlo, Non si sa come nella vana speranza di dimenticare, per poi passare a convincere gli altri della propria innocenza, che è stata una disgrazia, che non era stato voluto e quindi non era stato commesso. Una colpa successiva, a distanza di anni, fa riaffiorare al protagonista, il conte Romeo Daddi tutto ciò che era stato sommerso nell’oceano del passato in un container creduto a tenuta stagna. Non riuscendo più a convivere con i rimorsi e le vivide immagini che la sua mente ripropone come in un film senza fine, confessa tutte e due le sue gravi colpe, ed il tradimento del vincolo coniugale con la moglie del suo caro amico dà a quest’ultimo il pretesto per uccidere Romeo che ancora una volta si è macchiato di una colpa: istigazione all’omicidio, il suo ultimo tentativo di porre rimedio alle azioni passate e quietare la propria coscienza, mantenendo, a parer suo, la propria indiscussa libertà, evitando una giustizia terrena. L’eccellente cast è riuscito a rendere in maniera ineguagliabile il dramma, che si propone di costruire un ponte tra la sofferenza psichica di ogni uomo ed il perbenismo della società. Terminato lo spettacolo e lo scroscio di fragorosi e meritati applausi, è ora di andare. Ripercorro l’ampio atrio di ingresso popolato da spettatori piacevolmente colpiti, esco dal portone lasciandomi alle spalle una serata memorabile che arricchirà per sempre il mio corredo biografico, ed alla quale sono grata per gli innumerevoli spunti di riflessione concessi.

Beatrice Becattini