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domenica 19 maggio 2024

Reporter alla Pergola: ''Servo per due''

12-05-2014
Protagonista e regista è Pierfrancesco Favino, attore di bravura indiscussa nel panorama italiano, la rappresentazione è tratta da una commedia inglese del regista anglosassone Richard Bean intitolata “One Man, Two Guvnors” del 2011, a sua volta adattamento della commedia di Carlo Goldoni “Il servitore di due padroni” del 1745. Queste influenze le sentiamo entrambe: Bean trasuda dall’ironia e dalla comicità spontanea, sembra quasi di assistere ad una stand-up comedy in alcuni momenti, l’interazione col pubblico è continua, divertente e sì, anche irriverente. Goldoni è il file-rouge della narrazione perché in fondo il soggetto è quello di Arlecchino che, preso dalla smania della fame e deciso a non rimanere a stomaco vuoto, entra a servizio di ben due padroni, non essendo però un tipo molto sveglio sono molti gli incidenti e le disavventure che dovrà affrontare, fino alla agnizione ed al lieto fine.
Non è una ripetitiva rielaborazione di elementi passati, come potrebbe sembrare, anzi Favino, insieme al co-regista Paolo Sassanelli, introduce una novità importantissima: l’ambientazione. Infatti gli eventi si sviluppano nella riviera romagnola, a Rimini negli anni ’30, precisamente nel 1936 come ci ricordano un paio di volte gli attori in scena, dunque non più nei palchi settecenteschi goldoniani, e neppure nell’Inghilterra degli anni ’60 come è invece per lo spettacolo inglese.
Elemento fondamentale per trascinare gli spettatori all’interno di un’epoca non poi così rosea per l’Italia (l’avvento del Fascismo negli anni ‘30 stravolgerà completamente la vita delle persone) è la musica: l’orchestra Musica da Ripostiglio, un gruppo di artisti grossetani, ci fa vivere con spensieratezza la grande epoca della canzonetta italiana. Sono proprio loro che ci accolgono quando ancora le persone stanno cercando il posto a sedere: contrabbasso, banjo, chitarra e batteria attaccano a suonare tra la meraviglia di tutti.Musica ancora per intrattenerci nei vari cambi di scena a sipario chiuso, sentiamo cantare di Maramao, delle gambe delle donne, della ragazza che vorrebbe avere il fidanzato e di molte altre hit dell’epoca. Durante queste performance musicali gli attori si cimentano in meravigliosi balli swing e charleston, in scenette comiche e intermezzi degni di un Carosello.
Appena si alza il sipario colpisce la scena per la ricchezza dei decori e la precisione filologica della ricostruzione storica: inferriate art decò, abiti favolosi, nulla è dato per scontato; riferimenti al Futurismo ci vengono dal promesso sposo di Clarice, Amerigo, un attore non proprio eccezionale che mira all’enfasi teatral-cinematografica degna del cinema muto e promuove l’arte scattante, veloce, in movimento, assumendo sempre pose assurde e toni esasperati nei discorsi che intrattiene con chiunque.
Come per la versione inglese anche questa commedia prevede il coinvolgimento del pubblico in due scene e quindi un certo grado di improvvisazione programmata: la prima volta vediamo Favino-Arlecchino scendere dal palco e aggirarsi nella platea in cerca di un paio di volontari, alla fine riesce a reclutare due ragazzi per aiutarlo sulla scena, tanto divertimento e risate a non finire. La seconda volta si ferma in seconda fila e trascina sul palco una donna, timida, impaurita, dopo una serie di peripezie di un quarto d’ora buono sul palco finisce mezza bruciata, coperta di brodo e spruzzata completamente dalla testa ai piedi di schiuma. L’emozione e la sorpresa di noi spettatori è alle stelle, mi chiedo se fosse capitato a me come avrei reagito.
Il secondo atto si apre con i nostri musicisti che ci accolgono con un mash-up di anni ’30 e Michael Jackson e se ne vanno dalla scena dopo un assolo di bacchette su pavimento, lampione e parete, scivolando lentamente nel… ripostiglio. Lo scopo di Pippo-Arlecchino-Favino, una volta che si è rimpinzato bene durante un pranzo, non è più quello di trovare cibo bensì di provare a conquistare la ragioniera Zaira.
Seguono ancora tante risate: l’avvocato che imita il conte Mascetti nello sproloquio senza senso per destabilizzare le convinzioni della gente, Favino che si mette a parlare in toscano con un accento impeccabile, un delizioso intermezzo con sipario abbassato che lascia intravedere le gambe danzanti delle protagoniste, altra canzone terminante in uno slow-motion dove i musicisti escono di scena suonando a rallentatore.
Essendo una commedia tutto si risolve per il meglio e sulle note di Baciami Piccina, con un transatlantico contornato da lucine sullo sfondo, cala il sipario.
Le impressioni sia immediate che a freddo sono delle migliori: un cast eccezionalmente bravo, due ore e mezzo che sembrano volare tra risate e canzoni.

Costanza Materassi