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domenica 19 maggio 2024

“Le meraviglie” di Alice Rohrwacher

26-05-2014

Il film italiano “Le meraviglie” sale sul secondo gradino del podio del Festival di Cannes conquistando il Grand Prix. Secondo tentativo della giovane regista Alice Rohrwacher, approdata a Cannes già nel 2012, e che commuove con dolcezza e sensibilità la sessantasettesima edizione del Festival.
Un lungometraggio che ci apre lo scenario del mondo della dodicenne Gelsomina (Maria Alexandra Lungu) e della sua famiglia, la madre (Alba Rohrwacher), le tre sorelle e un padre autoritario e scontroso, che vivono in una campagna lontana dal resto del mondo dedicandosi all’apicoltura. Limpida la trama e le tematiche affrontate, una vita vissuta “ai margini”, priva di contaminazione da parte della modernità ed un’adolescenza che comincia a sentirsi soffocata dai sacrifici e dall’assordante ronzio delle api, onnipresenti compagne a cui Gelsomina dedica tempo ed abbandona il suo stesso corpo. Dolce, sensibile e delicato lo sguardo di tutto realismo rivolto verso un mondo rurale, che della serenità e dei piaceri della campagna possiede ben poco, costantemente immerso in un grigiore con cui la cinepresa tinge abilmente gli occhi del pubblico. Sì perché in questa storia le note di colore sembrano non arrivare mai. La giovane adolescente è metafora del tempo che passa e del cambiamento che spinge testardo le solide mura di un’esistenza emarginata e paradossale, difesa con tutte le forze dal padre, fatalista nella sua affermazione “il mondo sta per finire”, ottuso sentenziatore della condanna a morte di ogni più piccola novità. Eppure il tempo lascia i suoi segni e ci riporta dall’onirico al reale con il sottofondo musicale di “T’appartengo” cantata da Ambra Angiolini e con lo show televisivo “Il paese delle meraviglie” condotto da una Monica Bellucci d’altri tempi, quasi nelle sacre vesti di una divinità dello spettacolo. La televisione scuote il retrogrado mondo contadino, possibilità di riscatto per Gelsomina, minaccia ma fonte di denaro per il padre. Aspro e amaro, a tratti ironico e teneramente addolcito al punto giusto; calmo e paziente nel delineare con la profondità dei sentimenti i tratti psicologici dei protagonisti. Eppure questa pellicola, leggermente acerba e talvolta sconnessa, ci lascia la sensazione che qualcosa continui a mancare, soprattutto nell’ambiguità spiazzante del finale. Quello che c’è e che resta è però l’originalità nell’interpretare una storia così delicata, l’emergere di un nuovo atteggiamento, attento, pacato e sensibile nei confronti del cinema, una profondità di pensiero per cui forse non importa quale sia il senso, ma quanto un regista sia in grado di fare quello che il pubblico e la critica si aspettano: emozionare.

Parole chiave: sentimento, natura, sensibilità, novità, sperimentazione  

di Enrica Pulcinelli