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domenica 19 maggio 2024

Omaggio a Carlo Monni in ''Saluti e baci da Champs sur le Bisence''

28-08-2014

L'euro si era affacciato prepotentemente sull'Europa da una manciata di mesi o poco più, l'Italia del commissario tecnico Giovanni Trapattoni aveva dovuto abbandonare il Mondiale in punta di piedi, estromessa dalla follia arbitrale di Byron Moreno e da una Corea fin troppo combattiva per dare l'idea, e la forma, della solita "squadra materasso". A Firenze, storica città di sinistra, il Sindaco era Leonardo Domenici dei Democratici di Sinistra, o più sinteticamente dei "DS", ed il PD era ancora e soltanto un seme in attesa di germogliare. Correva l'anno 2002 e da allora tantissimi eventi hanno cambiato la realtà in cui sopravviviamo ogni giorno. Ma una cosa più delle altre ha, senza dubbio alcuno, scosso le menti degli amanti della poesia contadina e dell'umorismo irriverente e un pò sfacciato dei fiorentini.
Il 19 maggio 2013 lasciava un vuoto incolmabile nel panorama dello spettacolo (e non solo) Carlo Monni, poeta e attore nato a Campi Bisenzio nel lontano 1943 da un umile famiglia di allevatori. Caratterizzato da un aspetto che rimandava più al tipico orco delle fiabe che all'inarrivabile ed unico poeta qual'era, "il Monni", come era comunemente nominato, è stato forse l'ultimo esemplare di artista/uomo. Sì, perchè per lui l'arte era nata dalla miseria, dal duro e quotidiano confronto con la realtà di quello che ai tempi della sua giovinezza era un piccolo paese vicino Firenze in via di trasformazione. Lui, amante della natura e abituato a passare le proprie giornate sulle verdi sponde del Bisenzio, in guerra con la disumanizzante industrializzazione che si stava progressivamente impadronendo dei suoi compaesani. Una guerra che combatteva tramutando il suo vivere un mondo che riteneva comico nelle sue mille sfaccettature, in versi e battute dal retrogusto onomatopeico e mai banale. Una specie protetta insomma, in via d'estinzione, più che un semplice artista. Amava prendersi gioco della serietà altrui e quasi sempre vinceva, uscendo dal duello a testa alta. Il suo intercalare prorompente raccoglieva risate su risate. Per queste qualità, proprio nel 2002 i registi Bruno Santini e Fabrizio Nutti avevano girato un documentario sul campigiano più famoso di sempre. Una telecamera con l'inquadratura quasi fissa su Carlo e sulle sue incredibili espressioni facciali. Un percorso che si è addentrato fin dentro le radici dell'uomo, e che è riuscito a rendere chiare le origini di un artista così genuino e poliedrico.

"Saluti e baci da Champs sur le Bisence"
Un ottima occasione è stata la proiezione di Saluti e baci da Champs sur le Bisence al Parco dell'Anconella, all'interno del festival itinerante "Diramazioni" che caratterizza le sere d'estate nel secondo "polmone verde" di Firenze. Presente uno dei registi, Bruno Santini, il quale prima dell'inizio ha presentato il documentario sospinto da quello che lui stesso ha definito "un affetto che supera l'amicizia" per il Monni.

"L'idea di partenza di Saluti e baci da Champs sur le Bisence era quella di riportare Carlo Monni nei luoghi della sua giovinezza. Sarebbe dovuta essere una chiacchierata ma lui la trasformò in uno spettacolo, perché in ogni angolo seppe ricordare e abbinare dei momenti che diventavano delle vere e proprie performance".

Un ritorno nei luoghi della sua infanzia, a Champs sur le Bisence come amava goliardicamente chiamarla, che lo avevano profondamente segnato, e non soltanto in positivo. Una descrizione che Carlo aveva trasformato in un gioco: partiva dalla civiltà contadina, nella quale ricopriva il ruolo di allevatore di maiali, ed arrivava repentinamente ad una società altamente industrilizzata e disumanizzata, attraverso un tourbillon di battute e storie di vita vissuta.
Santini ha voluto raccontare un particolare fatto accaduto durante le riprese. La Rocca Strozzi, una delle location nella quale è stato girato il documentario, nel 2002 era in via di ristrutturazione e Carlo, appena arrivato, aveva avuto in mente un'unica persona: il Conte Ugolino della Gherardesca, colui che il sommo Dante collocò nel canto XXXIII, all'interno dell'Antenora, in mezzo ai traditori, nel secondo girone dell'ultimo cerchio dell'Inferno. Come se fosse una prosecuzione naturale dell'itinerario, il Monni aveva deciso di salire su una specie di trespolo, un muretto sconnesso in pietra, sul quale si ergeva in equilibrio instabile con i suoi amati sandali ai piedi, ed iniziare a declamare i versi dedicati al Conte pisano vissuto nel XIII secolo.

"..Io non so chi tu se’ né per che modo/ venuto se’ qua giù; ma fiorentino/ mi sembri veramente quand’io t’odo./ Tu dei saper ch’i’ fui conte Ugolino,/ e questi è l’arcivescovo Ruggieri:/ or ti dirò perché i son tal vicino.."

Durante la performance, purtroppo Carlo era interrotto dal rumore prodotto dal passaggio di un aereo, uno dei simboli della molesta industrializzazione di Champs sur le Bisence. Non lo sopportava, non poteva tollerare che l'arte e la vita si fossero dovute piegare allo scempio messo in moto dalla modernità. "Basta!" aveva esclamato "Basta così! Si va via!". Il regista e gli operatori presenti non potevano che essere d'accordo con lui, e subito si erano preparati ad andar via dall'aia polverosa di Rocca Strozzi. Ma, proprio quando i primi passi erano mossi nella direzione dell'uscita e gli strumenti per le videoregistrazioni erano già custoditi nelle loro fodere, il Monni aveva ripreso inaspettatamente a cantare la storia del Conte Ugolino con il medesimo fervore che lo aveva contraddistinto prima dell'interruzione. In tutta furia la troupe aveva ri-acceso la macchina da presa e neanche un secondo della magia oratoria era andato perso. Straordinario Carlo Monni, inimitabile.
Ed allora, quasi fosse semplice come bere un caffè al bar, aveva continuato a recitare tutto il trentatreesimo canto con una naturalezza che soltanto un genio avrebbe potuto adoperare.

"..Ma distendi oggimai in qua la mano;/ aprimi li occhi". E io non gliel’apersi;/ e cortesia fu lui esser villano.// Ahi Genovesi, uomini diversi/ d'ogne costume e pien d'ogne magagna,/ perché non siete voi del mondo spersi?// Ché col peggiore spirto di Romagna/ trovai di voi un tal, che per sua opra/ in anima in Cocito già si bagna,//e in corpo par vivo ancor di sopra."

Per chi fosse interessato a vedere "Saluti e baci da Champs sur le Bisence", a conoscere gli aneddoti snocciolati (contenuti in circa un'ora di videoclip) dal Monni in un cammino che ha toccato i luoghi più significativi della sua giovinezza come Villa Montalvo, il Circolo e la strada in cui sorgeva la sua dimora, domenica 31 agosto la proeizione del documentario verrà replicata al Parco Fluviale di Pontassieve, durante l'Estate al Parco Fluviale 2014, alle ore 21,30 (ingresso libero).
Oppure è possibile acquistare un cofanetto dedicato interamente all'artista campigiano dal titolo "Omaggio a Carlo Monni", che contiene (oltre al suddetto documentario) La banda del brasiliano (2010, realizzato dal collettivo John Snellinberg), Berlinguer ti voglio bene (1977, diretto da Giuseppe Bertolucci) e Fermi tutti questo è uno spettacolo, Pinocchio (1998, spettacolo teatrale con M.Ceccherini e A.Paci).

E quale miglior arrivederci Carlo se non la stupenda poesia che apre "Saluti e baci da Champs sur le Bisence", tratta da Berlinguer ti voglio bene, in cui Monni vestiva i panni di Bozzone:

"No' semo quella razza/ che non sta troppo bene/ che di giorno salta fossi/ e la sera le cene.// Lo posso grida' forte/ fino a diventa' fioco/ no' semo quella razza/ che tromba tanto poco.// Noi semo quella razza/ che al cinema s'intasa/ pe' vede' donne 'gnude/ e farsi seghe a casa.// Eppure, la natura ci insegna/ sia su' i monti, sia a valle/ che si po' nascer bruchi/ pe' diventa' farfalle.// Noi semo quella razza/ che l'è tra le più strane/ che bruchi semo nati/ e bruchi si rimane.// Quella razza semo noi/ l'è inutile far finta:/ c'ha trombato la miseria/ e semo rimasti incinta".

Lorenzo Bargelli