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sabato 18 maggio 2024

Reporter alla Pergola: ''La leggenda del grande inquisitore''

14-11-2014

Le luci che illuminano il palco rivelano un ambiente fuori dal tempo, al confine tra passato e futuro, sull’onda di un enigma notturno. Il senso resta ambiguo e sospeso in un’irrazionalità delirante, angusta e travolgente allo stesso tempo. E quell’insegna che si accende a sobbalzi riporta al pubblico l’unico messaggio deciso, sebbene così soggettivamente interpretabile: FEDE. I temi del romanzo di Dostoevskij riaffiorano lentamente come in un’assurda reminiscenza e quella scritta fede abbaglia la platea con fare psichedelico, quasi a tormentarci con la sua “scivolosità”, con quel significato ineffabile che si scioglie non appena pensiamo di sfiorarlo. Un mistero che tentiamo inutilmente di risolvere con i marchingegni di una mente limitata quando si tratta di andare oltre il visibile. Un coinvolgente Umberto Orsini interpreta il personaggio di Ivan, ritrovato nella vecchiaia, scorbutico ma forse un po’ impaurito per quella perdita di certezze, di senso e persino di realtà, che lo terrorizza nelle vesti di un alter ego (o forse di un subconscio insinuatore di dubbi) e di una realtà onirica che si ripete mentre lo incatena tra le coperte di una notte di incubi. E poi la libertà, di credere, di sognare, perché in fondo “che c’è di male a sognare”, grida il misterioso alter ego, di vivere e di vivere nella fede della vita nonostante la malvagità del mondo. E infine quei 18 minuti di Orsini, che lo inseriscono nel format della TED conference, dove chi ha qualcosa che valga la pena dire lo fa e basta, e la storia dell’inquisitore viene a galla insieme a tutto il simbolismo e le riflessioni che comporta. Torniamo a sognare in una recitazione che si vela d’incerto e che, piano piano, si adorna di stimoli e concetti, in un teatro in cui possiamo credere ciecamente a ciò che vediamo o semplicemente credere di vedere ciò che si vede, come in un atto di fede.

“Quale libertà vi può mai essere se l'obbedienza la si compra con i pani?” Fëdor Dostoevskij 

 

Enrica Pulcinelli