È terminato il restauro della scultura marmorea raffigurante San Marco, opera di Donatello appartenente alla collezione del Museo di Orsanmichele, intervento reso possibile grazie alla collaborazione fra i Musei del Bargello e l’Opificio delle Pietre Dure e al decisivo sostegno economico dei Friends of Florence. La statua restaurata, capolavoro giovanile di Donatello (l’artista lo scolpì nel 1411, a soli 25 anni), opera fondante del Rinascimento italiano, viene presentata a pochi giorni dalla riapertura al pubblico del Museo, fissata per il 1° giugno 2021. Il Museo di Orsanmichele sarà così il quarto museo del gruppo Musei del Bargello a riaprire le porte al pubblico, dopo il Museo Nazionale del Bargello, il Museo di Palazzo Davanzati e le Cappelle Medicee, che hanno riaperto lunedì 3 maggio 2021.
L’intervento di restauro è stato condotto sotto la supervisione scientifica di Matteo Ceriana, già curatore del Museo di Orsanmichele, e di Riccardo Gennaioli, Direttore del Settore Restauro materiali lapidei dell’Opificio delle Pietre Dure, con la collaborazione di Francesca de Luca e Benedetta Matucci, e con la consulenza di una commissione tecnico-scientifica costituita da Lorenzo Lazzarini (IUAV), Marisa Laurenzi Tabasso (Istituto Centrale del Restauro) e Daniela Pinna (Università di Bologna).
L’opera - ritirata nel 1977 dalla sua collocazione nella prima nicchia sul lato Sud del patronato dei Linaioli e Rigattieri e collocata al primo piano del Complesso di Orsanmichele, dove ha sede il Museo che ospita le statue originali dei tabernacoli - è stato il primo capolavoro rinascimentale del ciclo ad essere restaurato, dal 1984 al 1986, dall’Opificio delle Pietre Dure. In quell'occasione fu rimossa la patinatura color bronzo, realizzata dopo il 1789 con l’intento di accordare le statue marmoree al colore delle altre in metallo. Col primo intervento di rimozione condotto dall’Opificio fu recuperata la naturalezza fluida del modellato del San Marco, oltre a tracce labili di dorature nei bordi della veste, sul cuscino sotto ai piedi, sulla coperta del Vangelo, nei sandali, nella barba e nei capelli. A restauro ultimato fu deciso il ritiro definitivo dell’opera dall’esterno, con la realizzazione nel 1990 di un calco, sempre ad opera dell’Opificio.
A distanza di oltre trent’anni l’Opificio è stato nuovamente incaricato dalla Direzione dei Musei del Bargello di valutare lo stato di conservazione del capolavoro rinascimentale e progettare un nuovo intervento. Prima del suo ricovero all’interno del museo nel 1977, la statua è stata conservata per quasi sei secoli in esterno e nel materiale lapideo si riscontrano fenomeni di alterazione tipici di una prolungata permanenza all’aperto. Tutte le aree di decoesione furono però consolidate in occasione del precedente restauro e a tutt’oggi risultano stabili. Le forme di alterazione più evidenti si concentravano a livello superficiale: il deposito di particellato atmosferico aveva incupito l’aspetto del marmo e la presenza di sostanze residue, dovute alla realizzazione del calco, ne aveva modificato la tonalità.
“Nello spirito dei Monuments Men sono state istituite diverse organizzazioni non-profit statunitensi che si dedicano alla raccolta di fondi negli Stati Uniti per la conservazione e il restauro delle opere d'arte italiane, come Friends of Florence, che negli ultimi 23 anni ha avuto un ruolo fondamentale nel riportare le tante bellezze di Firenze al loro antico splendore. Milioni di americani hanno un legame speciale con la città di Firenze, ma questo legame è fortemente sentito dalla fondazione Friends of Florence, che ha continuato a dimostrare il suo amore per la città anche durante la pandemia di Covid-19 attraverso il restauro di opere d’arte storiche”, ha dichiarato la Console Generale degli Stati Uniti d’America a Firenze, Ragini Gupta.
“Sono particolarmente orgogliosa di questa collaborazione istituzionale – dichiara Paola D’Agostino, Direttore dei Musei del Bargello - che conferma l’eccellenza dell’Opificio delle Pietre Dure nel campo del restauro e conservazione del patrimonio storico artistico, nonché della sperimentazione diagnostica. Il San Marco marmoreo di Donatello è un’opera misconosciuta al grande pubblico, come poco nota è la strepitosa produzione marmorea del più ingegnoso scultore fiorentino del rinascimento. Il mio auspicio più grande è che il ciclo di statue monumentali di Orsanmichele, capolavoro assoluto del rinascimento italiano possa tornare ad essere fruibile al più ampio numero di persone possibili. L’apporto fondamentale dei Friends of Florence in questo progetto di restauro testimonia quanto, in ambito internazionale, sia percepito come patrimonio mondiale. A partire da giugno riapriremo la chiesa e il Museo di Orsanmichele due volte alla settimana, seguendo le vigenti normative e prescrizione dovute all’emergenza sanitaria. Spero che con l’aiuto di tutte le istituzioni cittadine, regionali e nazionali si possa creare un proficuo lavoro di collaborazione che porti in un futuro prossimo ad una piena godibilità e accessibilità di questo complesso straordinario”.
"Dopo il restauro del 1986, che liberò la scultura dalla pesante ridipintura scura, iniziando il grande progetto di recupero dell'intero ciclo scultoreo di Orsanmichele, l'OPD è reintervenuto sul San Marco, capolavoro giovanile di Donatello, la prima vera scultura autonoma dopo l'antichità classica e quindi uno dei testi fondanti del Rinascimento – ha detto Marco Ciatti, soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure -. Gli sviluppi tecnologici intercorsi tra i due restauri hanno consentito di perfezionare la pulitura e rendere ancor più evidente la profonda classicità della scultura impostata sulla "ponderatio" policletea e l'espressione della straordinaria testa che sembra derivare da quella di un filosofo antico. Il restauro, diretto da Riccardo Gennaioli, è stato accuratamente eseguito da Camilla Mancini e Franca Sorella ed è stato accompagnato dalle indagini scientifiche del Laboratorio scientifico, eseguite da Andrea Cagnini, Monica Galeotti e Simone Porcinai, che hanno consentito un ulteriore approfondimento della conoscenza dell'opera".
"Il progetto di conservazione del San Marco di Donatello, eseguito insieme ai Musei del Bargello e all’Opificio delle Pietre Dure è stata un’esperienza fondamentale per acquisire maggiore conoscenza dei più elevati metodi di analisi e di restauro – ha spiegato Simonetta Brandolini d’Adda, presidente dei Friends of Florence - I risultati appaiono molto evidenti guardando questa meravigliosa scultura, ma la conoscenza acquisita è ancora più importante per poter conservare per il futuro e in modo adeguato tantissime altre opere”.
Nel 1986 l’Opificio delle Pietre Dure concludeva il restauro del San Marco, primo di una lunga serie di interventi compiuti sulle sculture monumentali provenienti dai tabernacoli delle Arti di Orsanmichele. In quella occasione fu rimossa dal San Marco la patinatura scura applicata intenzionalmente in un momento successivo al 1789 su quasi tutte le statue marmoree all’esterno di Orsanmichele, probabilmente per assimilarle a quelle in bronzo. Proprio in tale “bronzatura” deve essere individuata una delle cause delle numerose macchie brune che segnano la superficie della statua.
Per definire con precisione il tipo di composti presenti sulla superficie e individuare la procedura d’intervento più rispondente è stata intrapresa una approfondita campagna di indagini diagnostiche, che ha privilegiato, come di consueto, metodi non invasivi. Solo in un caso si è proceduto al prelievo di un frammento superficiale della vecchia crosta che si era mantenuta tra alcune ciocche della capigliatura. Il campione analizzato era in buona parte composto dalla patinatura scura che ricopriva l’opera. La pirolisi analitica abbinata alla gas cromatografia-spettrometria di massa, realizzate dal Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa, hanno confermato quanto già messo in luce dagli esami condotti in passato dall’Opificio, ovvero che il legante di questo trattamento a ‘finto bronzo’ era un olio siccativo, verosimilmente olio di lino.
Le numerose indagini che il laboratorio scientifico dell’Opificio ha compiuto a costante supporto dei restauratori hanno evidenziato che sulla superficie del marmo si conservava una pellicola composta dal protettivo applicato a termine del precedente restauro e, in parte, dal composto impiegato come distaccante durante le operazioni di calcatura che seguirono di qualche anno l’intervento. Di questo secondo materiale, che aveva inglobato il particellato atmosferico deposto, erano ben visibili i segni delle pennellate impressi al momento della sua stesura.
La necessità di conoscere in maniera approfondita lo stato di conservazione dell’opera ha portato anche alla realizzazione di riprese in fluorescenza U.V. che hanno chiarito la posizione e il disegno di parte delle dorature di cui era decorata la statua: i capelli, la barba e le bordure della veste dell’Evangelista erano infatti in origine riccamente guarniti con foglia d’oro applicata a missione oleosa.
Sono state inoltre eseguite dallo Studio Micheloni delle scansioni sull’opera mediante tecniche laser scanner e mediante tecniche fotogrammetriche finalizzate alla produzione di modelli tridimensionali ad alta precisione contenenti una molteplicità di dati.
Per la pulitura dell’opera sono state scelte due linee di intervento che hanno diversificato il lavoro nella parte del retro e del fronte. Sul retro, e cioè sulle parti solo sbozzate, è stato possibile usare un apparecchio laser con emissione a lunghezza d’onda 532 nm (Thunder Art). Sul fronte si è reso necessario un primo passaggio con miscele di solventi (applicate sotto forma di gel e di emulsione) per assottigliare lo spesso strato di sostanze presenti sulla superficie, cui è seguita una rifinitura con metodologia laser, per liberare la scultura, in modo puntuale e selettivo, dei residui della vecchia patina “finto bronzo” ancora presente sulla superficie lapidea. Per questa fase è stato utilizzato il laser LQS (EOS 1000) che si è rivelato utile nella conservazione delle tracce di doratura ancora presenti sull’opera.
La verifica puntuale della superficie ha permesso di osservare che nella mano sinistra del Santo, la medesima che regge l’evangelario, esistono due cavità cilindriche parallele tra loro; i solchi, che erano completamente occlusi da polveri e terriccio, segnalano che la figura impugnava un attributo, probabilmente una penna.
La statua del San Marco di Donatello per il Tabernacolo dell’Arte dei Rigattieri e Linaioli in Orsanmichele è uno dei capolavori giovanili dell’artista, nonché un’opera altamente innovativa nella storia della scultura del primo Rinascimento. La sua esecuzione (1411 – 1413 circa), documentata nelle pagine del libro dei conti dell’Arte, si colloca cronologicamente tra altre due celebri imprese donatelliane per le edicole esterne di Orsanmichele, il San Pietro dell’Arte dei Beccai (1410-1412) e il San Giorgio per l’Arte dei Corazzai e Spadai (1416-1417). Commissionata a Donatello il 3 aprile del 1411, data in cui la Corporazione assegnò allo scultore un blocco di marmo di Carrara, perché desse figura al proprio santo patrono, la statua risultava pressoché conclusa nel mese di aprile del 1413. A questa mancavano i soli ornamenti e le diffuse dorature che è possibile oggi rileggere con maggior definizione, grazie al recente restauro supportato da approfondite indagini diagnostiche sulla coperta dell’evangelario, tra le ciocche scomposte della chioma e della barba, lungo le bordure della tunica, sui polsini delle maniche e sulle frange dei drappi che cingono la vita e le spalle. La fama del San Marco risale a fonti antiche. Michelangelo, raramente propenso ad elogiare l’opera di altri artisti, diceva di non aver mai visto una figura con più “aria d’uomo da bene”, ispirato senz’altro dal respiro monumentale dell’Evangelista e dall’integrità morale che traspare nel suo sguardo corrucciato ed intenso, distolto dall’osservatore e proiettato in lontananza.
Giorgio Vasari riferisce nelle Vite che i consoli dell’Arte, inizialmente insoddisfatti alla vista ravvicinata della statua, quasi ultimata e posata a terra nella bottega dell’artista, mutarono radicalmente giudizio non appena Donatello, che ingannevolmente fece creder loro di aver continuato a lavorarci, svelò l’opera nella nicchia a un’altezza di oltre un metro e mezzo dal suolo. A prescindere dalla sua veridicità, l’aneddoto vasariano introduce una tematica centrale nella poetica donatelliana, assai evidente nel San Marco, ovvero il ricorso ad apparenti forzature nelle proporzioni e differenti gradi di finitura per quelle opere che, destinate a collocazioni elevate, avrebbero implicato un punto vista alquanto ribassato per lo spettatore.
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