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venerdì 19 aprile 2024

"Le contraddizioni della fragilità", nuova mostra alla galleria Eduardo Secci di Firenze

09-09-2021
Giovedì 9 settembre 2021, alle ore 16.00, negli spazi espositivi della galleria Eduardo Secci di Firenze (Piazza Carlo Goldoni 2), si inaugura la mostra "Le contraddizioni della fragilità" a cura di Angel Moya Garcia. Sino al 6 novembre 2021, la collettiva presenta le opere di Diana Al-Hadid, Alejandro Almanza Pereda, Andrea Galvani, José Carlos Martinat e Matthew Ritchie.

L’ambito di indagine della mostra si incentra sulle varie declinazioni in cui emerge il concetto stesso di fragilità, scrutando le contraddizioni che possono celarsi nella sua definizione attraverso l’analisi di alcuni tra i diversi contesti in cui viene applicato il termine: sociali, culturali, economici, scientifici e filosofici. Una serie di accezioni e interpretazioni in cui spesso la fragilità viene considerata come una qualità spregiativa che ci indirizza verso il dubbio e l’incertezza, il fallimento e la sua accettazione o la debolezza delle nostre convinzioni. Questo atavico e ipotetico antagonismo, causato da una netta opposizione tra fragilità e stabilità, viene messo in discussione nella mostra attraverso l’evidenza della superficialità di certe considerazioni categoriche e i pregiudizi dei nostri principi nel rincorrere un’obiettività assoluta che ci consenta di raggiungere una solidità emotiva, cognitiva e identitaria definitiva.

Diana Al-Hadid, nata ad Aleppo in Siria nel 1981, è cresciuta nel Midwest americano. Ha ricevuto un M.F.A. dalla Virginia Commonwealth University nel 2005 e ha frequentato la prestigiosa Skowhegan School of Painting and Sculpture nel 2007. Diana Al-Hadid è nota per una pratica artistica che spazia in termini di linguaggi e dimensioni e che esamina i contesti storici e le prospettive alla base delle nostre assunzioni materiche e culturali. Le sculture di Al-Hadid, i pannelli e i lavori su carta sono formati da strati multipli di materia e storia. Le sue ricche allusioni formali attraversano sculture e discipline, traendo inspirazione non solo dalla storia di antiche civiltà ma anche dalla storia dei materiali stessi. Il lavoro di Al-Hadid si rifà ad una serie di fonti che spaziano dagli Old Masters all’epoca d’oro dell’arte islamica. Le sculture di larga scala di Al-Hadid intrecciano elementi figurativi e architettonici in oggetti allusivi che decontestualizzano le circostanze storiche a cui si riferiscono. Evolvendosi dagli studi materiali delle sue sculture, i pannelli tridimensionali di Al-Hadid enfatizzano la gestualità della sua pennellata veloce. Descritto da Al-Hadid come “qualcosa tra l’affresco e l’arazzo”, il suo processo è unico ed interamente additivo. Buchi e spazi vuoti vengono formati non tramite forature ma attraverso il dripping controllato, metodicamente rinforzato in modo che sia l’immagine a dettare la struttura. Queste opere sono state realizzate come oggetti sospesi, interventi architettonici e, più recentemente, come installazioni all'aperto.

Alejandro Almanza Pereda nasce a Città del Messico nel 1977 e consegue un Master in Arte presso l’Hunter College di New York. Attualmente vive a Guadalajara in Messico. L’artista ha subito l’influenza del vivere in differenti zone del Messico e degli Stati Uniti d’America. Ha in questo modo sviluppato un profondo interesse per come le varie culture concepiscano il senso del pericolo e del rischio. La sua pratica si focalizza sull’ambito della materialità attraverso la creazione di oggetti “azzardati” in senso concettuale e fisico, come le sue sculture oppure le fotografie e video subacquei. Le proprie opere esplorano gli specifici paradigmi culturali di sicurezza, pericolo e architettura attraverso la giustapposizione di materiali e oggetti. Questi assemblaggi trasmettono un senso di tensione con specifiche indagini sui temi della fragilità, valore, peso e potere. Egli integra oggetti quotidiani in sculture in larga scala, che sfidano il tema della durabilità dell’oggetto e la sua capacità di creare una struttura stabile. L’uso frequente della luce al neon, per esempio, è dovuto in parte al suo interesse per la simultaneità della fragilità e della forza di questi oggetti, che possono infatti andare facilmente in frantumi, ma anche in qualche modo resistere a una significativa pressione. Traendo ispirazione dagli oggetti che seleziona, Almaza Pereda schiva la narratività in favore della materialità. Sebbene il suo lavoro risenta dell’influenza della natura morta di origine olandese, possono giungere al surreale, come accade nella serie di lavori più recenti che sperimentano la fotografia sott’acqua.

Andrea Galvani, nato in Italia nel 1973, vive e lavora da molti anni tra New York e Città del Messico. La sua ricerca concettuale si avvale di fotografia, disegno, scultura, performance, neon, materiali d’archivo e grandi audio e video installazioni che vengo sviluppate intorno all’ architettura degli spazi espositivi. I suoi progetti sembrano aumentare la nostra consapevolezza, attingendo a concetti e strumenti provenienti da diverse discipline e assumendo spesso linguaggi e metodologie di carattere scientifico.

José Carlos Martinat nasce a Lima in Perù nel 1974, dove vive e lavora tuttora. La sua pratica si colloca al confine fra il mondo reale e virtuale e le sue fonti di ispirazione si rifanno all’architettura e al contesto urbano, alle memorie umane e tecnologiche. Le sue installazioni multimediali e assemblaggi scultorei incorporano diversi materiali e strategie capaci di alterare i preconcetti in merito all’appartenenza delle cose, portando nel contesto della galleria ciò che è destinato alla strada, come una sorta di contemporaneo archeologo. Questo metodo estemporaneo si manifesta in numerose declinazioni. Le sue opere "insegna" sono prodotte tramite il trasferimento di loghi di partiti politici, trovati sui muri della città, attraverso una pratica di distaccamento della superficie pittorica. Queste cosiddette Pintas sono delle appropriazioni di frammenti di slogan politici che entrano a far parte delle pareti delle gallerie d’arte. L’attrazione verso l’architettura modernista si mescola nel caso di Martinat, a una tendenza per una certa estetica del kitsch, che articola includendo loghi, colori stridenti e metodologie della street art. La sua serie Ejercicios Superficiales comprende un insieme di lavori realizzati con differenti media, che evocano un’idea di superficialità nell’uso di superfici prefabbricate ricoperte da graffiti. Questa “superficialità” nelle intenzioni, o meglio il suo amore per le superficie, è presente anche nella composizione scultorea Monumentos Vandalizables – Abstracción del Poder presentata alla Biennale di Mercosul del 2009, dove frammenti di emblematici edifici progettati da Oscar Niemeyer per la futuristica Brasilia, sono costruiti in legno laccato bianco, e successivamente offerti ai visitatori della mostra per verniciarli a spruzzo con slogan, graffiti e altre tecniche di intervento. L’imbrattamento dell'icona potrebbe apparire come una boutade ribelle, che serve invece in realtà a perpetuare l'iconografia del modernismo. Potrebbe essere considerata inoltre, come una forza liberatrice di fronte al diffuso abuso di potere.

Matthew Ritchie nasce a Londra nel 1964, si laurea al Camberwell College of Art nel 1986 ed emigra negli Stati Uniti d’America nel 1987. Oggi vive e lavora a New York. Le sue opere, quali installazioni ambientali di dipinti, disegni a parete, giochi, sculture, film e performance, rappresentano una continua indagine sull’idea di incarnazione dell’informazione, esplorata tramite un universo condiviso di storie e immagini interconnesse che attingono dagli ambiti dell’arte, architettura, scienza, fantasia, sociologia, antropologia, mitologia, storia e delle dinamiche culturali, tutti uniti da un unico linguaggio visivo. Egli descrive generazioni di sistemi, idee e le loro relative interpretazioni in una sorta di ragnatela celebrale, concretizzando teorie di informazioni e ere effimere e intangibili in una forma gestuale unica e riconoscibile, che enfatizza soprattutto le tracce della presenza umana. Nel 1997, l’artista dà inizio a una serie di dipinti e installazioni intitolate The Main Sequence, che mirano a rappresentare visivamente la teoria del tutto tramite una narrazione frammentata. Ogni dipinto della serie si sviluppa come parte di un gioco interattivo che tenta di sintetizzare un intero campo di conoscenze, come quelle della fisica e biologia, tramite una storia stratificata ed immersiva. Matthew Ritchie è anche impegnato nel campo di ambiziosi progetti di arte pubblica, che proiettano complesse idee in spazi comunitari, focalizzandosi su progetti in cui il contenuto informativo del posto possa essere integrato nella forma architettonica del lavoro. Negli ultimi anni, l’artista ha inoltre portato avanti un progetto per tracciare una storia visiva completa del segno di notazione o diagramma. Divisa in 3 parti: The Temptation of the Diagram, Surrender to the Diagram e The Demon in the Diagram, l’indagine ancora in corso si è manifestata in una serie di dipinti, performance, installazioni e una pubblicazione che esamina l’influenza del linguaggio notazionale sul sistema e sulla produzione del linguaggio.
La raccolta di lavori più recenti di Matthew Ritchie, Time Diagrams, un’ambiziosa sequenza di 100 parti fra dipinti, pavimenti, pareti e performance, cerca di studiare la struttura e il linguaggio informativo della storia.

Per maggiori informazioni: www.eduardosecci.com