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domenica 22 dicembre 2024
Maggio Fiorentino: il maestro Federico Maria Sardelli e il sopranista Bruno de Sá in concerto
15-11-2024
Federico Maria Sardelli dirige l’Orchestra del Maggio nel concerto sinfonico in programma in Sala Mehta venerdì 15 novembre 2024 alle ore 20.00. Il maestro che torna sul podio del Maggio dopo il concerto tenuto nel febbraio 2023, avrà con sé nel programma, il sopranista Bruno de Sá, attualmente fra i più celebri interpreti al mondo e al suo debutto fiorentino. De Sá, vincitore di prestigiosi e numerosi premi e concorsi, fra cui l’ “Oper! Award 2020” e il “Forum-Opéra Trophy 2022” come miglior debuttante, nello stesso anno ha pubblicato il suo primo album da solista, Roma travestita, ottenendo un grandissimo successo di pubblica e critica; ha inoltre ottenuto il primo posto al “Österreichischer Musiktheaterpreis 2024”. Pochi mesi fa è uscito il suo secondo disco da solista, anch’esso accolto con grande entusiasmo, dedicato a Mozart e ai suoi contemporanei; ha inoltre compiuto numerose tournée in Europa, collaborando con famosi ensembles come “Il Pomo d’Oro”, “Les Accents”; “Nuovo Barocco” e l’ “Ensemble 1700”.
In programma, un'interessante selezione di composizioni della seconda metà del XVIII secolo, accomunati da uno stile che per misura espressiva ed equilibrio viene definito galante, sinonimo all’epoca di “buon gusto”. Il concerto si apre con la "Sinfonia Op. II, n. 2 in sol minore" di Johann Anton Filz, unica sinfonia scritta dall’autore in tonalità minore dove si possono sentire distintamente i richiami a Vivaldi e a Giovanni Battista Sammartini, figura carismatica della tradizione sinfonica milanese.
Segue “Lungi da te”, estratto da Mitridate, re di Ponto di Wolfgang Amadeus Mozart: prima opera seria composta dal genio di Salisburgo, l’aria è il triste commiato del principe Sifare (il figlio di Mitridate) dall’amata Aspasia, promessa sposa del protagonista della vicenda.
Il concerto prosegue con l’aria “Non cercar per ora… La gran vendetta ancora”, tratta da Il Mesenzio, re d’Etruria di Luigi Cherubini, opera rappresentata per la prima volta proprio a Firenze nel settembre del 1782: in quest’aria d’esordio del personaggio di Lauso - principe di Preoreste - «No, non cercar per ora», gli ampi passaggi di bravura fungono da tradizionale veicolo dei sentimenti di vendetta che, in questo caso, spingono il principe prigioniero verso il progetto di regicidio nei confronti di Mesenzio.
Si prosegue poi con la "Sinfonia in re maggiore Wq 176, H 651" di Carl Philipp Emanuel Bach: delle sinfonie scritte durante la sua permanenza alla corte di Berlino si percepisce, proprio come in questo caso, un’opulenza sonora e una solennità ancora decisamente legate alla poetica barocca.
In chiusura al concerto altre due composizioni di Wolfgang Amadeus Mozart: Exultate, jubilate, mottetto scritto nel 1773 appositamente per il castrato Venanzio Rauzzini – che aveva interpretato il ruolo di Cecilio nella messa in scena dell'opera Lucio Silla al Teatro Regio Ducale di Milano l’anno precedente – e la “Sinfonia n.39 in mi bemolle maggiore K. 543”; prima delle tre grandi sinfonie scritte da Mozart nell'estate del 1788 (insieme alla Sinfonia n. 40 e alla celeberrima sinfonia n. 41 detta Jupiter) concepite in origine per essere inserite nel programma di una serie di concerti per sottoscrizione, allora chiamati ‘accademie’, che però, a quanto si sa, non ebbero mai luogo.
Il concerto:
Un viaggio a ritroso nella musica della seconda metà del Settecento, tra pagine scritte per noti castrati dell’epoca, sinfonie celebri e vere rarità d’ascolto. Nato in Baviera nel 1733, Johann Anton Filtz, era un virtuoso di violoncello e compositore assai stimato ai suoi tempi.
Dopo essere stato allievo di Johann Stamitz, nel 1754 entrò a far parte dell’orchestra di corte di Mannheim, compagine di eccellenza conosciuta per l’attenzione rivolta agli effetti dinamici e ai contrasti tra piani sonori. Per essa produsse numerosi concerti e sinfonie, tra cui la Sinfonia in sol minore op. II n. 2, data alle stampe nel 1760, che rivela nell’impianto e nello stile l’influenza del modello barocco, in special modo vivaldiano. Nel 1770, durante il suo primo viaggio in Italia il quattordicenne Mozart realizzò per il Teatro Regio Ducale di Milano la sua prima opera seria: Mitridate, re di Ponto. Nonostante la giovanissima età, Mozart era ben consapevole delle regole da rispettare in campo operistico, in primis quella di modellare le arie sulle caratteristiche vocali dei cantanti a disposizione. L’aria «Lungi da, te mio bene», che descrive lo struggente addio del principe Sifare all’amata Aspasia nel secondo atto, fu realizzata infatti per la voce del castrato Pietro Benedetti (detto il Sartorino), noto per la delicatezza nell’emissione sonora.
Solo due anni dopo e ancora per il Teatro Regio Ducale di Milano, Mozart avrebbe realizzato una nuova opera seria, Lucio Silla. L’opera, che debuttò il 26 dicembre 1772, annoverava nel cast, nel ruolo di Cecilio, il celebre evirato Venanzio Rauzzini, ammirato anche da Leopold Mozart per la voce angelica e cristallina. Per lui il giovane salisburghese confezionò anche il mottetto Exsultate, jubilate, una pagina contraddistinta da una scrittura particolarmente virtuosistica di matrice squisitamente teatrale, perfettamente congeniale alle qualità vocali del suo primo interprete.
Anche il giovane Luigi Cherubini, musicista fiorentino formatosi con Giuseppe Sarti, nella sua quarta opera seria Mesenzio re d’Etruria scrive la parte di Lauso pensando allo stile di canto di colui che avrebbe interpretato il ruolo del principe. Nel cast dell’opera, che debuttò il 6 settembre del 1782 al Teatro della Pergola di Firenze, vi era infatti il castrato Francesco Porri, famoso per l’abilità nei passaggi repentini tra registri vocali. L’aria d’esordio di Lauso nel primo atto, «No, non cercar per ora», si distingue infatti per i numerosi salti e gli ampi passaggi di coloratura, atti a sottolineare i sentimenti di vendetta che animano inizialmente il principe.
Carl Philipp Emanuel Bach, il quinto e il più celebre tra i figli di Johann Sebastian, fu compositore e cembalista di corte a Berlino e Amburgo e musicista particolarmente amato da Haydn e Mozart. Oltre a un corpus considerevole di opere per tastiera, Carl Philipp Emanuel compose anche lavori strumentali per organici vari e alcune Sinfonie, tra cui la Sinfonia in re maggiore Wq 176 realizzata nel 1755 mentre era a servizio di Federico Il Grande. Come le altre Sinfonie realizzate per la corte prussiana, anche la Sinfonia in re maggiore è legata alla poetica barocca sia nell’impostazione, con l’alternanza tra gruppi strumentali tipica del Concerto grosso, sia nello stile, caratterizzato da solennità e opulenza sonora, sebbene siano già presenti in nuce elementi di discontinuità armonica che l’autore metterà a fuoco negli anni seguenti.
Prima delle tre ultime sinfonie mozartiane, la Sinfonia in mi bemolle maggiore K. 543 fu composta nel giugno del 1788. Per Mozart quell’anno fu davvero difficile sul versante personale - tra le preoccupazioni dovute a una situazione economica disastrosa e la delusione subita per il mancato successo viennese del Don Giovanni - ma altresì fruttuoso sul versante della creatività. In quell’estate, sotto la spinta bruciante del suo talento, Mozart diede alla luce i tre capolavori sinfonici che chiudono la sua produzione nel genere e rappresentano la summa della sua arte orchestrale. Nella Sinfonia K. 543 per la prima volta Mozart impiega al posto degli oboi i clarinetti, strumenti che all’epoca non avevano ancora una sistemazione stabile in orchestra ma erano particolarmente amati dal compositore per il timbro morbido e pastoso. Seguendo il venerabile modello di Haydn, la Sinfonia si apre con un imponente Adagio introduttivo: vigorosi accordi seguiti da scalette ascendenti e discendenti cariche di tensione aprono la strada al primo tema dell’Allegro, che da principio entra quasi in punta di piedi per prendere poi forza sostenuto da trombe e timpani. L’Andante è costruito su un tema di serena cantabilità, ma inaspettatamente assume al centro colori cupi e drammatici. Segue un Minuetto dal passo imperioso che cede spazio nel Trio all’aggraziato dialogo tra il flauto e la coppia di clarinetti. La chiusura, invece, è scintillante con lo slancio inarrestabile del tema dell’Allegro finale che rimbalza senza sosta tra le varie famiglie orchestrali.