"Ma t'immagini comu fussi bellu notari no menzu ‘ro mari? Seccunnu mia fussi comu abballari".
Un paesino di Sicilia, fine anni ‘80. Due cugini crescono come fratello e sorella e giocano per cancellare la solitudine ancestrale di una famiglia senza padri. Sono prede troppo vulnerabili senza nessuno che dia loro consapevolezze o difese: dietro le persiane è nascosto un paese che spia, giudica e non vive. Tentano di combattere il loro destino per sognare, lei di lasciare quell’isola che li culla e li affoga, lui di amare liberamente un uomo. Come in una tragedia antica va espiata la colpa di chi si ribella e il giovane puro è sporcato dallo spettro dell’Hiv. Lui che ‘mai niente con nessuno aveva fatto’ s’infetta d’amore. Mentre tutti piangono già la sua morte, il suo istinto alla vita esplode candido e redime il paese.
È la storia di una lotta, per cancellare quella che è percepita dai protagonisti come una solitudine ancestrale. Sono anime troppo vulnerabili, ma che hanno fatto della loro vulnerabilità il mezzo per squarciare il velo. Tentano di resistere all’ineluttabilità che incombe - come nel modello della tragedia antica - e questa lotta è incarnata da Giovanni, l’unico che riesce a superare istintivamente il peso di un destino già scritto, che si libera in maniera del tutto naturale, scrivendone un’altro possibile con il suo stesso corpo e con il suo stesso agire.
Giovanni incarna ingenuità e passione; l’innocenza che supera le barriere della conoscenza e dell’ignoranza: un pezzo unico di anima che dice tutto quello che pensa, che crede a tutto quello che gli viene detto. La forza e il coraggio di chi non riesce a vedere il mondo se non come uno spartito di note da danzare. L’istinto alla vita, alla sopravvivenza. Al di là della malattia. Al di là del male.