Il mondo degli algoritmi e quello della paleontologia possono sembrare due universi quanto mai distanti. Dimostra l’esatto contrario una
ricerca scientifica internazionale su Frontiers in Earth Science, guidata dall’Università di Firenze: alcuni
complessi algoritmi hanno consentito agli studiosi di riparare campioni fossili originali, spesso deformati dai processi di fossilizzazione, e ottenere nuovi reperti in 3D, ricostruendo la morfologia originale.
La correzione, detta tecnicamente “retrodeformazione”, è stata possibile grazie al confronto dell’oggetto di studio - un fossile molto deformato di Equus stenonis, un equide simile a una zebra che viveva in Europa nel Villafranchiano circa 2 milioni di anni - con altri campioni di riferimento non deformati, appartenenti alla stessa specie del reperto preso in esame. La ricerca segna un nuovo metodo (“Target Deformation”) per la retrodeformazione virtuale, finora praticata solo con programmi di grafica 3D e senza target di paragone (“Target Deformation of the Equus stenonis Holotype Skull: A Virtual Reconstruction”).
Il risultato, pubblicato in open access, è frutto di un team internazionale coordinato da Omar Cirilli, dottorando del Dipartimento di Scienza della Terra degli Atenei di Firenze e Pisa, ed è stato realizzato in collaborazione con ricercatori del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università Federico II di Napoli, dell’Università di York e della John Moores University di Liverpool, e con il contributo di ricercatori della Howard University e dello Smithsonian Natural History Museum (Washington DC, USA), e del Georgian National Museum (Tbilisi, Georgia).“Il fossile studiato – spiega Omar Cirilli, autore Unifi insieme a Lorenzo Rook, docente di Paleontologia e paleoecologia – è il cranio tipo di Equus stenonis, conservato nelle collezioni del Museo di Geologia e Paleontologia del Sistema Museale dell’Università di Firenze, il reperto su cui il paleontologo fiorentino Igino Cocchi istituì la specie nel 1867. Per retrodeformarlo virtualmente abbiamo usato come esemplari di riferimento due crani incompleti provenienti dai siti del Pleistocene Inferiore di Olivola (Italia) e Dmanisi (Georgia)”. I due reperti sono stati assemblati virtualmente attraverso dei punti di riferimento, sui quali è stato corretto il cranio tipo di Equus stenonis, consentendo di ricostruire la sua morfologia originale. Le successive analisi comparative con altri reperti della stessa specie hanno dimostrato che la forma del modello finale è completamente coerente con la variabilità della specie stessa.“Spesso i Paleontologi si trovano di fronte il classico dilemma se inserire o escludere alcuni reperti dai loro studi, soprattutto per il grado di deformazioni che presentano – ha commentato Cirilli -. Questo studio, unito con altri precedenti pubblicati da alcuni autori coinvolti in questo lavoro (Marina Melchionna, Antonio Profico e Pasquale Raia), consente di aprire una nuova frontiera nella Paleontologia virtuale, ricostruendo la morfologia originale dei fossili deformati, e permettendo a vecchie ossa di tornare a raccontare nuove storie. Proprio come nell'arte giapponese del Kintsugi, dove oro e argento liquidi vengono utilizzati da esperti artigiani per riparare oggetti rotti, dando loro nuova vita”.Per ulteriori informazioni:
https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/feart.2020.00247/full