Il ghiaccio antico è uno straordinario registro della storia climatica del nostro pianeta, ma per usarlo anche come modello e fare proiezioni sul futuro è necessario sapere come tarare le informazioni che racchiude. È quello che è riuscito a fare un team internazionale, con il coinvolgimento di Mirko Severi, ricercatore dell’Università di Firenze, unico italiano fra i paleoclimatologi che hanno firmato sulla rivista Science lo studio che ha registrato le temperature dell’Antartide durante l’ultima era glaciale, circa 20.000 anni fa.
Nell’ambito dello studio - coordinato dal team dell'Oregon State University e destinato anche a capire l’evoluzione della calotta antartica e l’impatto dei gas serra sulla sua estensione -, il ricercatore dell’Ateneo fiorentino ha verificato come le tracce indelebili lasciate dalle eruzioni vulcaniche preistoriche nei campioni di ghiaccio estratti nel continente antartico siano indicatori precisi per la datazione degli strati sedimentati nel corso dei millenni.
“In ogni studio di paleoclimatologia, il primo passo è quello di ottenere una scala temporale comune per tutti gli archivi presi in considerazione – racconta Severi, ricercatore di Chimica analitica Unifi–. Ma uno dei problemi delle datazioni dei record di ghiaccio è quello di ‘sincronizzare’ tra loro i vari campioni, in questo caso le carote perforate in sette aree dell’Antartide – prosegue il ricercatore –. In pratica, senza avere a disposizione un modello di datazione affidabile, è come se avessimo un termometro, ma non potessimo leggere la scala”.
Il metodo utilizzato principalmente dagli scienziati per regolare, per così dire, le tacche del termometro è quello della misura degli isotopi stabili presenti nell’acqua delle carote di ghiaccio; tali indicatori risentono delle temperature alle quali sono avvenute le deposizioni nevose e quindi dell’altitudine del sito di perforazione. Questo compromette la correlazione dei dati provenienti da carote estratte in aree diverse del polo, che nei millenni hanno sicuramente subito variazioni di quota rispetto all’attuale geografia del continente antartico, rendendo incerta la comparazione tra i vari record.
Severi si è invece concentrato sulle tracce delle violente eruzioni vulcaniche del passato di cui abbiamo, in alcuni casi, datazioni certe, svolgendo le sue analisi nell’ambito del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide-PNRA. “Nelle calotte polari – spiega Severi- sono memorizzate molte delle maggiori eruzioni vulcaniche del passato, che possono essere riconosciute dalla presenza di elevate concentrazioni di acido solforico, composto che siamo riusciti a determinare ad alta risoluzione nelle carote ghiaccio”.
Grazie allo studio pubblicato, la ricostruzione delle temperature del passato si basa adesso su dati più robusti. “I risultati presentati nella ricerca restituiscono un quadro più preciso di quelle che erano le temperature dell’era glaciale in Antartide e ci aiutano a capire quali siano i meccanismi coinvolti in una transizione da un regime climatico freddo a uno caldo - conclude il ricercatore –. Queste informazioni saranno di aiuto per migliorare la messa a punto di futuri modelli climatici basati sulla proiezione delle temperature del passato”.