Giovedì 19 aprile, alle ore 20.00, "Don Pasquale" di Gaetano Donizetti, l'opera buffa destinata ad essere apprezzata da un vasto pubblico, sarà proiettata direttamente dal palcoscenico del prestigioso Teatro alla Scala al Cinema Adriano di Firenze (Via Gian Domenico Romagnosi, 46). Diretta da Riccardo Chailly e messa in scena da David Livermore, l’opera vedrà nuovamente Rosa Feola sul palcoscenico del Teatro alla Scala dopo la performance, nella scorsa stagione di All’Opera, in La Gazza Ladra.
Un vecchio avaro che si sente cogliere da pruriti amorosi e vorrebbe sposare una donna molto più giovane, esponendosi al ridicolo; una ragazza scaltra che lo beffa; un giovane e sentimentale innamorato; un intrigante che bada al suo tornaconto: nell’intreccio del Don Pasquale sembrano esserci tutti gli ingredienti della tradizionale opera buffa settecentesca, basata su situazioni e personaggi stereotipi, comuni del resto al teatro comico di tutti i tempi.
Non è più originale la specifica declinazione della storia sceneggiata dal libretto, che rifà un vecchio lavoro preparato nel 1810 da Angelo Anelli per la musica di Stefano Pavesi, SerMarcantonio, ancora ampiamente in circolazione all’epoca del Don Pasquale. Donizetti incaricò del rifacimento il patriota mazziniano Giovanni Ruffini, esule a parigi e librettista debuttante; ma il compositore sorvegliò strettamente la stesura del libretto, tenendo bene in vista le caratteristiche dei quattro cantanti di punta che si sarebbero esibiti nei ruoli principali al Théâtre Italien – il soprano Giulia Grisi, il tenore mario [sic], il baritono Antonio Tamburini e il basso Luigi Lablache – e scrivendo molte scene di suo pugno (alla fine gli interventi di Donizetti risultarono così invasivi che Ruffini si rifiutò di firmare il libretto).
Apparentemente, dunque, Don Pasquale riporta in scena un prodotto del passato, costruito su uno schema convenzionale (la coppia di giovani che si amano, il vecchio che li ostacola, un aiutante che sventa i suoi piani) e tipicamente italiano; il che equivale, in certa misura, a risuscitare un genere antico, che a lungo aveva tratto alimento dal repertorio delle maschere della commedia dell’arte italiana, ma che all’epoca era ormai morto e sepolto. In realtà, che le cose non stessero esattamente in questi termini fu evidente già alla prima rappresentazione. Donizetti insistette per una messinscena attualizzante: la storia doveva svolgersi nella Roma contemporanea, i personaggi dovevano vestire alla moda, con costumi “alla borghese moderna”. L’effetto fu in qualche modo spaesante per un pubblico che si attendeva i costumi tradizionali dell’opera buffa settecentesca: un genere in cui l’inverosimiglianza e la stereotipia degli intrecci sembravano richiedere un’ambientazione irrealistica, o almeno retrodatata.
Questa scelta è il presupposto indispensabile all’operazione ideata da Donizetti: utilizzare un vecchio modello, ma modificarlo sino a stravolgerlo per raccontare una storia e mettere in scena personaggi molto più reali. Al posto di astrazioni marionettistiche, infatti, Don Pasquale propone personalità credibili e coerenti; ai tipi del teatro comico sostituisce personaggi dalla spiccata umanità e caratterizzati con cura. Il protagonista, per esempio, pur esprimendosi spesso con la sillabazione rapida dello stile buffo non incarna solo la figura del vecchio che si rende ridicolo con le sue smanie amorose, ma è anche personaggio degno di commiserazione, come dimostrano le scene in cui espone sincero i suoi intimi sentimenti o la scena cruciale dello schiaffo, che suscita empatia e che segna una svolta decisiva dell’opera verso il tono serio. E anche la figura del giovane innamorato, caratterizzata in senso fortemente sentimentale e patetico, si sottrae agli stereotipi della tradizione comica.
Lo spettatore, in altri termini, è invitato a partecipare emotivamente alla sorte dei personaggi in scena, rispecchiandosi in essi e attuando quel meccanismo di identificazione che è un presupposto essenziale del melodramma ottocentesco. Un meccanismo che lo differenzia dall’opera buffa tradizionale nella quale è invece essenziale, per l’effetto comico, che tra la scena e lo spettatore si stabilisca una ben percepibile distanza emotiva. L’ambientazione contemporanea, allora, è tanto più necessaria all’azione.
Non lo è meno un’intonazione musicale che, invece di insistere su recitativi secchi convenzionali o su numeri chiusi dalle forme rigide e ripetitive, predilige il discorso fluido, il tono da conversazione, le forme che trapassano scorrevoli l’una nell’altra producendo un’impressione di naturalezza. Il realismo con cui vengono trattati i personaggi, qui, si colloca agli antipodi del teatro comico rossiniano, in cui un meccanismo a orologeria cattura i personaggi riducendoli, ironicamente, a marionette. E la trama del Don Pasquale può fare tranquillamente a meno degli ingegnosi stratagemmi e degli artifici d’intreccio comuni nel genere dell’opera buffa.
Quella del Don Pasquale, in definitiva, è una comicità complessa, a volte incline al farsesco ma a volte intrisa di un lirismo malinconico – come avviene, per esempio, nelle arie patetiche di Norina e di Ernesto – lontano dal vecchio sentimentalismo di maniera. E la moderna reinterpretazione di un intreccio tutt’altro che nuovo fa sì che l’apparente anticaglia sia, in realtà, percorsa da un soffio assolutamente vitale. Infatti Don Pasquale fu accolto, il 3 gennaio 1843 al Théâtre Italien, da un grande entusiasmo. Ma l’opera composta da Donizetti era destinata a restare uno splendido esempio isolato. L’opera buffa era ormai al termine della sua gloriosa tradizione e in seguito si sarebbe orientata, in Italia come nel resto d’Europa, verso l’operetta.
Claudio Toscani
Info: www.cinemaadriano.it