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giovedì 21 novembre 2024

Programmazione settimanale del Cinema Spazio Uno di Firenze

14-02-2019
Ecco la programmazione del cinema Spazio Uno di Firenze (via del Sole, 10), questa settimana saranno proiettati i seguenti film:

"IL PROFESSORE CAMBIA SCUOLA" di Olivier Ayache-Vidal
Diretto con mano sicura da Olivier Ayache-Vidal, "Il Professore Cambia Scuola" è frutto di un approfondito e curato lavoro di indagine da parte di Vidal, regista con un robustissimo passato di giornalista e analista, che con questo film va oltre l’abusata e già vista commedia di matrice scolastica. Ambizioso nel suo piccolo, infatti, il film ci mostra un microcosmo che rappresenta in modo perfetto il tragico macrocosmo di gran parte del sistema scolastico europeo, soffocato da programmi obsoleti, strutture fatiscenti, docenti senza motivazioni e in generale da un’incapacità da parte del sistema di aggiornarsi, di venire incontro a quel crogiolo di problematiche che sono i giovani di oggi. Mai retorico o zuccheroso, il film ha  in Podalydès un mattatore fantastico e commovente, credibile e mai neppure per un istante capace di farsi né odiare né amare del tutto, quanto piuttosto di condensare su di sé tutti i pregi e i difetti che un insegnante può avere. Mix riuscito tra realtà e finzione (molti dei giovanissimi attori sono davvero studenti della scuola in cui è ambientato il film), "Il Professore Cambia Scuola" non commette l' errore di idealizzare o banalizzare i giovani di oggi, quanto piuttosto di mostrarcene con sguardo realista, ma mai cinico, il difficile percorso di crescita. Un percorso che nella Francia di oggi è tanto più problematico quanto più è connesso ad un tessuto sociale dove i figli della seconda e terza generazione di extraeuropei soffrono ancora della stessa identica mancanza di prospettiva, speranza e fiducia che si riflette su quell’immenso alveare decadente dove son costretti a passare sostanzialmente tutta la vita. Questo film è un genuino ritratto delle deficienze (ma anche delle possibili soluzioni) della scuola moderna, chiamata ad essere qualcosa di più di uno spazio di assorbimento delle nozioni, quanto il punto cardine di un’integrazione e sviluppo della personalità, per quei futuri cittadini europei di domani.

"OGNUNO HA DIRITTO AD AMARE - Touch me not" di Adina Pintilie
"Ognuno ha diritto ad amare" ("Touch me not", il titolo originale) segna il debutto di Adina Pintilie alla regia di un lungometraggio. Il film non è una fiction, né un documentario, ma un prodotto sperimentale tra le due forme di narrazione. L'occhio dietro la cinepresa raggiunge il cuore drammaturgico della storia senza pudore di sorta. Un certo voyeurismo, compiaciuto o naive, potrebbe infastidire lo spettatore. E' un progetto durato sette anni. La critica non ha accolto con entusiasmo il verdetto della giuria di Berlino. Hanns-Georg Rodek (Die Welt) parla di una decisione scioccante; Jay Weissberg (Variety) lo descrive come un film ambizioso che mira ad affrontare più questioni di quante ne riesca a gestire; Peter Bradshaw (Guardian) si preoccupa dei contenuti volgari e, allo stesso tempo, ingenui. Adina Pintilie ha condotto questa approfondita ricerca con una motivazione del tutto condivisibile: "Touch Me Not" vuole diventare uno spazio per un'(auto)riflessione e trasformazione in cui chi guarda viene spinto ad approfondire la propria conoscenza della natura umana".  "Il film - ha continuato la regista - vuole anche valutare in modo diverso le esperienze e le idee a proposito dei rapporti intimi con un focus particolare sulla de-oggettivizzazione e personalizzazione dello scambio umano, stimolando la nostra curiosità sul diverso "altro" e la nostra empatetica capacità di metterci nella pelle altrui".  I soggetti che ha avuto a disposizione si presentavano sulla carta come interessanti per sviluppare i propositi di cui sopra. Le immagini scorrono provocatorie tastando un territorio primordiale, dove il linguaggio del corpo sostituisce la comunicazione verbale. Un viaggio lungo i tabù alla comprensione di sé.

"LA FAVORITA" di Yorgos Lanthimos
C'è una sottile vena di ironia che attraversa il cinema di Yorgos Lanthimos: un'ironia talvolta appena percettibile, di regola nerissima, che conferisce un senso di strana dissonanza alle opere del regista greco, caratterizzate da una forza drammatica declinata di volta in volta fra il surreale, la distopia e l'horror. Alla luce di questo percorso, tanto radicale quanto costante, una pellicola quale "La Favorita" può apparire come un punto di svolta, o comunque una variante piuttosto bizzarra: sia per la sua afferenza al genere del film storico, un territorio non ancora esplorato da Lanthimos, sia per la scelta di un insolito registro brillante. Eppure "La Favorita", interpretato da Emma Stone e Rachel Weisz e presentato in concorso alla settantacinquesima edizione della Mostra di Venezia, non tarda a rivelare la propria intima natura, collocandosi alla perfezione all'interno della filmografia dell'autore di "Dogtooth", "The Lobster" e "Il sacrificio del cervo sacro": perché anche in questo caso Lanthimos offre il suo sguardo, impietoso e amarissimo, sulle miserie morali della società, teatro dell'ennesimo gioco al massacro consumato secondo le regole del più feroce dei rituali. Yorgos Lanthimos applica la sua visione nichilista ad un trio tutto al femminile e a una società teatro di sanguinosi conflitti di classe. E proprio perché il contesto e le tre protagoniste hanno motivi condivisibili per essere spietate, la storia esce dall'astrazione metafisica che aveva caratterizzato i lavori precedenti del regista. "La Favorita" è calato in un contesto storico e politico ben preciso, e racconta senza troppe esagerazioni la condizione femminile come un percorso a ostacoli all'interno di un mondo patriarcale che lascia alle donne pochissimi spazi di manovra, e ancor minori difeseL'unica donna che conta, qui, è la regina, ma questo non la sottrae alle logiche del potere declinato al maschile, che si esprime al grado zero con l'ennesima guerra.

"VICE - L'uomo nell'ombra" di Adam McKay
Dopo "La grande scommessa", film che entrava nei meccanismi del crack finanziario del 2008 e che gli valse l’Oscar per la migliore sceneggiatura, Adam McKay si concentra questa volta su 50 anni di politica americana: per farlo porta sotto i riflettori uno dei personaggi chiave, notoriamente “nell’ombra”, artefice del più grande cambiamento nella storia della democrazia statunitense all’indomani dell’attacco alle Twin Towers dell’11 Settembre. Come per il film precedente, McKay si affida a Christian Bale – chiamato ad una spaventosa trasformazione camaleontica come già accaduto nel corso della sua carriera – per interpretare il protagonista, affiancandogli un altrettanto straordinaria Amy Adams: l’attrice è Lynne Cheney, moglie di Dick e vera forza motrice per la sua continua ascesa. Con uno stile ormai riconoscibile, frantumando di nuovo le convenzioni narrative più ovvie, sgretolando la quarta parete e utilizzando un narratore atipico -l’uomo della strada americano- McKay realizza un’altra, incredibile partitura: "Vice" è un’opera jazz sorprendente, capace di saltare con disinvoltura dal terrore dell’11 Settembre ai gargarismi davanti allo specchio prima di andare a dormire, mostrando senza alcun timore gli aspetti più intimi di un uomo, da un lato marito e padre amorevole, dall’altro stratega senza scrupoli, capace di mistificare senza alcuna vergogna le ragioni alla base di alcune tra le pagine più dolorose della politica interna ed estera degli Stati Uniti, dalle torture di Guantanamo alla guerra in Iraq, passando per il controllo informatico e telematico dell’intera popolazione. "Vice" -candidato a 8 Premi Oscar- è una biografia (ovviamente non autorizzata) appassionante e incisiva, capace di intrattenere, ma anche e soprattutto di far riflettere. È un grande film di attori, soprattutto, dove oltre ai due già citati Bale e Adams, rivestono un ruolo non secondario Steve Carell e Sam Rockwell.

"ROMA" di Alfonso Cuaròn
In "Roma" è difficile resistere alla commovente vicenda della domestica Cleo e del suo talvolta ottuso attaccamento alla famiglia che custodisce. Alfonso Cuarón ricorda la sua infanzia a Città del Messico, quando papà era sempre in viaggio d'affari, mamma Sofia accumulava libri tremando al pensiero di perdere quell'uomo, nei cinema fumosi si pomiciava e la domestica Cleo puliva costantemente le cacche dei cani dal vialetto. È un film sulla donna, l'ennesimo di questa Venezia di registi che inquadrano, con potenza, più Lei che Lui. Cuarón, regista di film diversissimi, da "Y tu mama también" a un "Harry Potter", per il suo dramma sociale sceglie un luccicante bianco e nero, inquadrature e movimenti di macchina accuratissimi. Se si potesse riassumere questo film straordinario in una parola sarebbe sicuramente: REALTÀ. Il Leone d’oro 2018 è un premio alla verità, raccontata senza schemi e senza veli dal regista. E' un racconto sincero, puro, vero. La sceneggiatura è tratta direttamente dalla memoria del regista che, per non rovinare la purezza del ricordo, si è servito di attori non professionisti e metodi di ripresa poco ortodossi: era il solo a conoscere la sceneggiatura per intero, gli attori la scoprivano giorno per giorno. Secondo Cuarón, infatti, nella vita «non si può davvero pianificare come reagire alle situazioni» e catturare in un film tali reazioni spontanee, non è semplice. Nel film i personaggi sono messi di fronte alla durezza della vita in più di un’occasione. Le loro potenti reazioni agli eventi, non sono frutto solo dell’intelligente direzione di Cuarón, ma anche di un inaspettato talento nella recitazione. Ed è per questo che durante la visione di "Roma", non si potrà fare a meno di sorridere, ridere e piangere insieme agli attori. Il dolore che il film racconta, è un dolore universale, che tutti conosciamo. L’effetto è lo stesso di un pugno nello stomaco, inflitto però da scene di una bellezza disarmante.

"COLD WAR" di Pawel Pawlikowski
Cold War è un'appassionata storia d'amore tra un uomo e una donna che si incontrano nella Polonia del dopoguerra ridotta in macerie. Provenendo da ambienti diversi e avendo temperamenti opposti, il loro rapporto è complicato, eppure sono fatalmente destinati ad appartenersi. Negli anni '50, durante la Guerra Fredda, in Polonia, a Berlino, in Yugoslavia e a Parigi, la coppia si separa più volte per ragioni politiche, per difetti caratteriali o solo per sfortunate coincidenze: una storia d'amore impossibile in un'epoca difficile.

Ecco il dettaglio degli orari:
"IL PROFESSORE CAMBIA SCUOLA" di Olivier Ayache-Vidal
Giovedì 14/02 Ore 15:30 - 19:30
Venerdì 15/02 Ore 15:30 - 19:30
Sabato 16/02 Ore 15:30 - 17:25
Domenica 17/02 Ore 15:15 - 21:35
Mercoledì 20/02 Ore 15:30 - 19:35

"LA FAVORITA" di Yorgos Lanthimos
>> 10 CANDIDATURE AGLI OSCAR!!!
Giovedì 14/02 Ore 17:25 - 21:30
Venerdì 15/02 Ore 17:25
Sabato 16/02 Ore 19:25
Domenica 17/02 Ore 19:30
Mercoledì 20/02 Ore 17:25
In Inglese con sottotitoli in Italiano

"OGNUNO HA DIRITTO AD AMARE - Touch me not" di Adina Pintilie
>> Orso d'Oro a Berlino
Venerdì 15/02 Ore 21:30
Martedì 19/02 Ore 21:35
In Inglese con sottotitoli in Italiano (V.M. 14)

"ROMA" di Alfonso Cuaròn
>>Leone d'Oro alla Mostra di Venezia come Miglior Film
>>Vincitore di 2 Golden Globes: Miglior Film Straniero e Migliore Regia
>> 10 CANDIDATURE AGLI OSCAR!!!
Sabato 16/02 Ore 21:30
Domenica 17/02 Ore 17:10
Mercoledì 20/02 Ore 21:30
In Spagnolo con sottotitoli in Italiano

"VICE - L'uomo nell'ombra" di Adam McKay
>> 8 CANDIDATURE AGLI OSCAR!!!
Lunedì 18/02 Ore 17:40 - 21:35

"COLD WAR" di Pawel Pawlikowski
>> Miglior Film Europeo
>> 3 CANDIDATURE AGLI OSCAR!!!
Lunedì 18/02 Ore 16:00 - 20:00
Martedì 19/02 Ore 20:00

"LA DOULEUR" di Emmanuel Finkiel
Martedì 19/02 Ore 15:30 - 17:45


Per ulteriori informazioni: www.cinemaspaziouno.it