“Io non posso sposare un maschilista”, con questa frase Gustav Hofer prenderà per mano il compagno, Luca Ragazzi, - reo di aver detto una frase infelice ed aver rivelato il suo maschilismo nascosto - e lo condurrà in un viaggio verso le origini e le credenze di una mentalità patriarcale consolidata nel Bel Paese, e non solo.
I registi si confrontano con i dubbi e le credenze dei neogenitori che instaurano rapporti diversi con le figlie femmine e i figli maschi, con gli studenti delle scuole superiori che, ancora, vedono nel padre la figura identitaria forte, con uomini convinti che il marito sia l’elemento autoritario all’interno di una coppia perché “è il testosterone che glielo fa fare” e con chi ancora pensa che giocare con una Barbie possa indurre un bambino a diventare gay.
Dicktatorship, presentato con successo all’ultimo festival di Toronto, è l’ultimo lavoro della coppia Ragazzi-Hofer, dopo Improvvisamente l’inverno scorso (presentato al Festival Internazionale del cinema di Berlino del 2008, vincitore della menzione speciale del premio della giuria Manfred Salzgeber e Nastro d’argento come miglior documentario nel 2009), Italy: Love it, or Leave it (il loro più grande successo, vincitore del premio del pubblico e della giuria del Milano Film Festival 2011) e What is Left?, documentario sulla crisi della sinistra italiana, che a partecipato al Minneapolis International Film Festival, all’Hot doc s di Toronto e al Brussels IFF.
L’Italia sembra il Paese migliore per portare avanti l’indagine dei due registi perché, da sempre, è la patria dei grandi latin lover, delle icone del machismo e dei leader politici che fanno della virilità la loro arma vincente.
Dicktatorship non è un film contro il maschio italico ma una riflessione sulle strutture culturali radicate in una società che incatena uomini e donne a ruoli ormai vecchi e stantii ma da cui, anche se a piccoli passi, si può riuscire a liberarsi.