Da martedì 1 a domenica 6 marzo al
Teatro Studio Mila Pieralli di Scandicci (via Gaetano Donizetti, 58) andrà in scena
"Medea", la tragedia di Euripide nell'adattamento di
Gabriele Lavia e con protagonisti
Federica Di Martino e Daniele Pecci.Dopo il grande successo della scorsa estate al Teatro Romano di Fiesole, la
Fondazione Teatro della Toscana e il
Teatro Stabile di Napoli presentano a Scandicci il lavoro di Lavia originariamente pensato per teatri di pietra da 2.000 posti e oggi in una
nuova versione indoor, per dimostrare come
"il grande teatro sappia parlare ovunque - ha sottolineato Riccardo Ventrella - L
a Medea contemporanea e quotidiana di Lavia troverà qui la sua sede naturale".Un lavoro che
scava nell'animo umano e nei grandi interrogativi della vita, uno spettacolo sulla diversità e l'istinto attraversati da folgoranti visioni tragiche. Medea è uno dei personaggi più celebri del mondo classico, per forza drammatica, complessità ed espressività. Euripide la mette in scena nel 431 a.C. e per la prima volta nel teatro greco (almeno quello che è arrivato sino a noi) protagonista di una tragedia è la
passione, violenta e feroce, di una donna: forte, perché padrona della sua vita, tanto da distruggere tutto quello che la lega al suo passato. Una donna diversa, una barbara in una città che la respinge. Gabriele Lavia legge oggi nel capolavoro euripideo il viaggio verso un personaggio sradicato in un paese straniero. "
Medea è una donna tradita - ha spiegato il regista - è
una donna che viene da lontano. È 'figlia del Sole', non perché partorita dal dio Sole, ma perché viene dal mondo in cui il Sole sorge. Viene dal Caucaso, dall'Oriente, è un'altra cultura. È quel mondo che parla il 'barbar', cioè balbetta la lingua greca, da cui 'barbaroi', 'barbari'. Giasone sposa Medea: è come se un signore di Stoccolma sposasse la figlia del re di una tribù dell'Amazzonia, che però ha delle conoscenze che a noi sfuggono". La scena si svolge a Corinto, dove Medea vive con Giasone e i loro due figli. La donna ha aiutato il marito nell'impresa del Vello d’oro e abbandonato il padre Eeta, re della Colchide e fratello di Circe. Dopo dieci anni, però, Creonte, re della città, vuole offrire sua figlia Glauce in sposa a Giasone, dandogli così la possibilità di successione al trono. Giasone accetta e abbandona Medea.
Federica Di Martino interpreta Medea, mentre
Daniele Pecci è Giasone; oltre a loro Umberto Ceriani che interpreta Creonte, Angiola Baggi la Nutrice, Pietro Biondi il Pedagogo, Gabriele Anagni il Messaggero e infine il coro formato da quattordici giovani attrici.
"Medea è un testo, come si dice, antico - ha proseguito Lavia -
antico non vuole dire morto, passato. Al contrario, più è antico e più è vicino a una 'origine'. L’origine di qualcosa è ciò a partire da cui e per cui una cosa è quella ‘cosa’ che è. L’origine di qualcosa è la sua essenza. Medea, dunque, è più vicina all’essenza del teatro di qualunque testo più recente o, addirittura, attuale". Malgrado la disperazione, vista l'indifferenza di Giasone, la donna medita una tremenda vendetta. Fingendosi rassegnata, manda in dono un mantello alla giovane Glauce, la quale, non sapendo che in realtà è pieno di veleno, lo indossa per poi morirne fra dolori strazianti. Il padre Creonte, corso in aiuto, tocca anch'egli il mantello, e muore. Ma la vendetta di Medea non finisce qui: per assicurarsi che Giasone non abbia discendenza, uccide i figli avuti con lui condannandolo all’infelicità perpetua. Creatura di passioni e di istinti che si direbbero disumani se non fosse così potentemente e intimamente donna, Medea è quasi una forza della natura allo stato essenziale, che la ragione serve soltanto a rendere consapevolmente feroce, senza poter imporre alcun freno all’animo indomito.
"Medea, che si ripete sempre la 'stessa' e mai uguale (poiché cambiano gli attori) - ha precisato Lavia -
è 'contemporanea' cioè unisce il tempo antico al nostro presente e mette in crisi una certa attualità di oggi, svelandone la falsità. Che cosa è contemporaneo nell'antichissimo? Proprio il fatto che qualcuno lo 'ripeta'. E per ripetere bisogna apprendere". Euripide riesce nella difficile impresa di motivare psicologicamente una donna che è l’antitesi della ragione. Affermandone la dignità, concetto che stava prendendo forma nell'Atene dell'epoca.
Per maggiori info:
www.teatrodellatoscana.itA.T.