I fiorentini a volte sembrano indicare quasi orgoglio, ai forestieri, utilizzando un avverbio tutto particolare (‘costassù’), le piccole lapidi apposte sui muri del centro storico che segnano il livello raggiunto dalle acque limacciose dell’Arno in occasione delle alluvioni che hanno devastato Firenze nel corso dei secoli.
L’espressione semi-dialettale diventa il titolo, e il pretesto, dello spettacolo "Fincostassù", scritto dal giornalista e drammaturgo Alberto Severi, in scena in prima nazionale al Teatro Niccolini da venerdì 11 a mercoledì 16 novembre, con la regia di Lorenzo Degl’Innocenti e l’interpretazione di Marco Zannoni.
Prodotto dalla Fondazione Teatro della Toscana, lo spettacolo dell’ultima alluvione del ’66 affida la cronaca ora drammatica, ora umoristica, ora perfino, suo malgrado, grottescamente esilarante, a una serie di personaggi divertenti, graffianti e poetici allo stesso tempo. Tutti interpretati da Zannoni.
Il secondo appuntamento della rassegna “Alluvione. 50 anni dopo”, dopo il grande successo di Sotto una gran piova d’acqua…, è quindi con una serie di ritratti e situazioni tragicomiche, incrociate con un montaggio quasi cinematografico, in cui l’attore Marco Zannoni, solo in scena, assume di volta in volta l’identità di traghettatore beone o di sommesso eroe dell’acquedotto, di acida bottegaia o di cacciatore spaccone, di pittore dongiovanni o di pretino di curia, di rigattiere filosofo o di ciarliera moglie dell’orefice di Ponte Vecchio. Vernacolo, un po’ alla maniera del vecchio Grillo canterino, trasmissione radiofonica di culto della Rai toscana dell’epoca, con i suoi stereotipi, travolto e tuttavia ancora galleggiante nella tragedia. Almeno mezzo secolo fa, nel 1966. In tutto sono una decina di ‘quadri’ basati anche sulle testimonianze e i racconti dei testimoni (attinti per lo più dai libri Firenze. I giorni del diluvio di Franco Nencini e Acqua passata: aneddoti e ricordi dell’alluvione di Firenze di Maro Marcellini e Gian Luigi Corinto).
Fincostassù fluisce e tracima così, a imitazione dell’Arno in piena, per raccontare il diluvio come in diretta, a distanza di mezzo secolo. Fino allo struggente finale affidato al personaggio di Angela, l’angelo del fango, con le sue limpide lacrime riparatrici, e al controcanto ironico di Polvere, il cenciaolo-filosofo che di Firenze rappresentava, già a metà del ventesimo secolo, l’estrema, dimessa incarnazione.
“Il testo di Alberto Severi”, conclude Lorenzo Degl’Innocenti, “racconta l’Alluvione prima, durante e dopo, con le domande che restano sospese come i segni sui muri delle case, con i forse, i se, con le ipotesi, i dubbi e soprattutto con quel reagire tipico della nostra gente, carico di ironia feroce, che fa dei fiorentini un popolo a sé”.
Un popolo dalla difficile, sofferta, ma incrollabile fiducia nell’avvenire.