Dal 29 dicembre al 5 gennaio sul palco del
Teatro Niccolini di Firenze (via Ricasoli, 3) andrà in scena
"L'Avaro" di
Molière, adattato e diretto da
Ugo Chiti, con protagonista
Alessandro Benvenuti.
Amara, irresistibilmente
comica e
di bruciante modernità, questa commedia riesce a essere un
classico immortale e nello stesso tempo a raccontarci il presente senza bisogno di trasposizioni o forzate interpretazioni.
"L'Avaro" è uno
spaccato familiare e sociale. Arpagone è un capofamiglia balordo, taccagno e tirannico come tanti altri, circondato da un amabile e canagliesco intrigo di servi e di innamorati. Poi viene derubato e l'avarizia cessa di essere un tic, una deformità, uno spunto di situazioni farsesche. La diagnosi investe la psicologia di chi ha subíto un furto, di chi è stato defraudato di un oggetto di passione affettiva ed esclusiva, della sua unica ragione di vita. Proprio la fissazione affettiva di Arpagone su un oggetto miserabile sollecita un'equivoca, ma profonda partecipazione emotiva: l'avarizia redime l’avaro.
"L'Avaro" è una delle commedie molieriane che presuppongono uno spaccato familiare, una 'casa'; ma la 'casa' di Arpagone è anche un luogo rigorosamente finto, esplicitamente e spudoratamente teatrale. Una casa che potrebbe essere una metafora del teatro coi suoi prodigi, le sue inverosimiglianze e la sua cartapesta. Non una vera casa borghese, dove la luce filtra dalle imposte socchiuse, meridiana o mattutina ma comunque naturale; bensì una casa dove tutto si svolge a lume di candela (non fosse l’avarizia), anche se è giorno.
Note di regia: "Il nostro Avaro occhieggia a Balzac senza dimenticare la commedia dell'arte intrecciando ulteriormente le trame amorose in un'affettuosa allusione a Marivaux. Contaminazioni a parte, Arpagone resta personaggio centrale assoluto mantenendo quelle caratteristiche che da sempre hanno determinato la sua fortuna teatrale, si accentuano alcune implicazioni psicologiche, si allungano ombre paranoiche, emergono paure e considerazioni che sono più rimandi al contemporaneo. La 'parola' è usata in maniera diretta, spogliata di ogni parvenza aggraziata, vista in funzione di una ritmica tesa ad evidenziare l'aggressività come la 'ferocia' più sotterranea della vicenda".
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