Venerdì 16 novembre 2018, alle ore 21.15, alla
Sala Vanni di Firenze è in programma il concerto dei
Stefano Tamborrino Seacup. Seacup, letteralmente
“tazza di acqua marina” è la sintesi di un mare interiore. Apparentemente circoscrivibile all’area di un contenitore, esso conserva la difficoltà di controllo dovutagli alla propria natura liquida e imprevedibile. L’onda può essere la culla del nostro sguardo, tuttavia essa medesima, ha in sé la capacità di spazzare via un intero paesaggio.
Il sestetto si compone di un organico inusuale in cui possiamo riconoscere il classico quartetto d’archi, arricchito però dalla creativa presenza di batteria, elettronica, voce, sassofono e clarinetti. L’opera di composizione – principalmente affidata a Stefano Tamborrino – si è stesa in un periodo concentratosi tra la metà di giugno e la fine di luglio 2017. L’intensa attività svolta in poco più di un mese estivo ha partorito quarantacinque minuti di musica scritta e arrangiata, alla quale sono andati a sommarsi gli episodi di improvvisazione.
I protagonisti di questo incontro sono diversi. Stefano Tamborrino è uno dei pochi strumentisti ritmici italiani ad aver varcato l’oceano con una band americana; si espone in un inatteso ruolo di compositore sulla linea di rasoio, in bilico tra una moltitudine di colori che rendono il prodotto finale libero da ogni classificazione di genere.
Determinante la partecipazione di Gabriele Evangelista e Dan Kinzelman, rispettivamente al contrabbasso e sassofono tenore: grazie a loro si apre a un ventaglio di possibilità sonore e compositive che, nel quadro generale, riconducono l’ascoltatore attraverso echi che spaziano dal jazz alla musica contemporanea, dall’elettronica al folk passando per la musica da camera verso la quale la natura degli strumenti ad arco ci trascina inevitabilmente.
L’attenzione al suono e un’eccezionale capacità di legare il repertorio con grande coerenza sonora, sono il filo conduttore che permette ai musicisti di mescolare continuamente le carte in gioco senza risultare mai privi di un obiettivo comune tra le linee un impianto architettonico che non sottostà al rigore di precetti o accademie di alcun tipo. Grazie all’apporto lirico di Ilaria Lanzoni, Katia Moling e Naomi Berrill la musica viene accompagnata verso un piano descrittivo cinematografico.
Ancor più della scelta di una line-up peculiare, a rendere il progetto distinguibile, è stata la totale mancanza di ambizione emulatoria, in quanto l’urgenza creativa, unitamente alla voglia di esplorare un territorio poco battuto, sono state le uniche fonti di alimentazione per la penna dell’autore, ragione che spiega il breve termine in cui l’opera sia stata integralmente concepita. I riferimenti che vi si possono riscontrare non sono collocabili in un’unica corrente, bensì in una variegata moltitudine di generi e movimenti.
Se quel che il jazz ha assunto oggi è il ruolo descrittivo di ciò che gli avviene attorno, questo progetto è meritorio di un’attenzione dovutagli proprio dalla sofisticazione che i giovani talenti che lo compongono hanno saputo filtrare come un setaccio dell’epoca corrente, rendendoci un risultato rappresentativo del nostro territorio e della nostra decade.
Ilaria Lanzoni: violino;
Katia Moling: viola;
Naomi Berrill: violoncello, voce;
Gabriele Evangelista: contrabbasso;
Dan Kinzelman: sassofono, clarinetto;
Stefano Tamborrino: batteria, elettronica, voce e composizione;
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