Massimo Bartolini, Emanuele Becheri, Chiara Camoni, Antonio Catelani, Giulia Cenci, Daniela De Lorenzo, Carlo Guaita, Paolo Meoni, Margherita Moscardini, Andrea Santarlasci e Massimiliano Turco sono gli artisti protagonisti della mostra "Il disegno del disegno" in programma fino al 28 febbraio 2019 al Museo Novecento Firenze (piazza Santa Maria Novella, 10).
In questa occasione, a differenza delle due mostre passate (Il disegno dello scultore e Artisti al Teatro. Disegni per il Maggio Musicale Fiorentino), il percorso espositivo curato da Saretto Cincinelli si discosta parzialmente dalla logica che ha animato le esposizioni allestite in precedenza nelle sale al primo piano del museo: non focalizza infatti la sua attenzione su un orientamento privilegiato del disegno verso un’altra disciplina, ma sull’intrinseca versatilità del disegno in quanto tale.
Al centro dell’esposizione, che indaga la pratica e il gesto del disegno a partire dal lavoro di undici artisti maturati a ridosso della fine del Novecento e nei primi anni del XXI secolo (Massimo Bartolini, Emanuele Becheri, Chiara Camoni, Antonio Catelani, Giulia Cenci, Daniela De Lorenzo, Carlo Guaita, Paolo Meoni, Margherita Moscardini, Andrea Santarlasci e Massimiliano Turco) non è tanto ciò che si manifesta tramite il disegno quanto ciò che emerge e si impone come disegno, amplificando i confini della categoria. A risultare fortemente ridimensionata dunque è la visione tradizionale del disegno, come qualcosa di preparatorio di un progetto: qui al contrario il disegno non sta al posto di nient’altro che di se stesso. Le opere esposte evocano più il gesto del tracciare che la figura tracciata, concentrandosi volontariamente sulla dimensione dinamica e evocativa dell’atto del disegnare.
“Il disegno – ha commentato Saretto Cincinelli – si separa in fondo dal modello esterno, non ha più a che fare con la rappresentazione o la riproduzione, ma con la presentazione o manifestazione. Potremmo dire che il disegno è epifania. Da qui esso risulta essere in relazione con la luce e con il fantasma”.
In mostra differenti media(fotografia, scultura, ricamo) che propongono una concezione “allargata” di disegno, rimandando all’idea di skiagraphia o photographia (scrittura d’ombra o di luce) che Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia pone all’origine mitica della disciplina.
Nel racconto pliniano il disegno nasce da un’immagine sostitutiva, non bisogna dimenticare che Butade, figlia di un vasaio di Corinto, non ritrae “dal vero” il proprio modello, ma fissa i contorni della sua ombra portata. “Il suo segno circoscrive così una presenza indebolita e fantasmatica, una quasi-assenza – spiega Cincinelli -. È da questo mito fondatore che prende le mosse il filosofo francese Jacques Derrida quando, in Memoires d’aveugle, nota l’impossibilità per il disegnatore di mantenere fisso lo sguardo sul modello e contemporaneamente sul tratto che sta tracciando”.
Nascono così i giardini‘stagionali’di Massimo Bartolini, le sinopie ‘postume’ di Antonio Catelani, l’affiorare delle figure nel gesto formante delle terrecotte di Emanuele Becheri, le duplicazioni evocanti un cortocircuito tra ciò che è scomparso e ciò che non smette di riaffiorare di Andrea Santarlasci; le infinite, minute segnature delle pagine marmoree di Massimiliano Turco tracciati di un divenire, che mostra il senso di una ripetizione mutante. E ancora le sculture incorporanti il disegno della propria genesi materiale di Daniela De Lorenzo, gli autoritratti tracciati senza mai posare lo sguardo sul foglio di Chiara Camoni,le presentazioni extra-rappresentative dei Senza titolo (Chiasmi) e delle Prosopopee di Carlo Guaita, l’Atlas di Margherita Moscardini che, tramite un inedito display performativo, mostra moltitudini aggregate in uno spazio pubblico da cui sono sottratte le architetture e, infine, nelle fotografie in bianco e nero di Paolo Meoni e Giulia Cenci, sorta di disegni istantanei che nella loro platitude restituiscono l’astratto ritmo interno di uno scenario naturale o svolgono il ruolo di annotazioni e schizzi preparatori evocanti opere a venire. La mostra parla a più voci, non vuole infatti modellare una prospettiva dello sguardo, ma modulare un percorso, disegnare uno spazio di transito, capace di suggerire la rilettura spiazzante di categorie precostituite, per condurre in primo piano, oltre al verbo essere delle singole produzioni individuali, l’accadere plurale di un evento.
Per maggiori informazioni: www.museonovecento.it