Mercoledì 6 marzo 2019, alle ore 18.00, sarà inaugurata l'
esposizione "Work(in)Space - Assembly Line" di Koyal Raheja alla
SACI's Maidoff Gallery di Firenze (Via Sant'Egidio, 14),
soundwork di accompagnamento a cura di Christopher Norcross.
Entrare dentro il lavoro di Koyal significa disorientarsi, mettere alla prova lo sguardo verso le cose e se stessi. Quando K. ha cominciato a pensare al progetto che qui, finalmente, riusciamo ad attraversare, la prima suggestione m’è caduta ricordando la famosa e obversa opera di Bruce Nauman, Corridor, del 1970. Non solo. Ho avuto modo di vederla crescere e dietro quella apparente dolcezza e gentilezza mi sorprendeva come si nascondesse, o meglio fosse velato un sentimento subdolo che, paradossalmente, mi ricordava una seconda opera apparentemente lontana ma in verità vicina, anzi prossima, come Décor: A Conquest, di Marcell Broothears, del 1975.
La comodità simulata nasce da una tragedia che è successa nel 1984, quella dell’esplosione della fabbrica di gas, il disastro di Bophal. Nel 1984, a vent’anni, ricordo che fu l’anno della svolta della mia vita: scoprivo l’arte, lasciavo la mia isola per introdurmi nel mondo. Tutto mi pareva possibile, ed ero felice. Scoprire dopo molti anni che in quell’anno migliaia di persone siano state annientate, devastate le vite, segnate, e rimembrarle nel modo più sconcertante oggi, con i modi subdoli della visione, mette in difficoltà e in crisi la mia personale percezione delle cose, e della storia che noi, in Occidente, abbiamo trascorso e crediamo sempre di controllare, codificare.
Ma il corridoio iniziale, così come avevamo intuito, è diventato una galleria. La cosa strana è che attraversandola, dentro e fuori, si mette in scena un’azione che contribuisce a disorientarci perfettamente. Quanto vediamo è una messa in crisi del vedere: diventiamo e contribuiamo a diventare, noi e chi è prossimo a noi, gli altri, fantasmi, o comunque diventiamo sospetti, figure dai tratti svelati, vulnerabili.
Koyal evoca la presenza nella forma del resto. Ogni velo produce polvere, fuliggine, il colore diventa ombra, ogni velo è in relazione col tragico. Assembly Line, titolo dell’opera in mostra, è un’opera evocativa, di resistenza alla morte, dice che qualcosa rimane sempre, resiste, e lo stare dentro, percorrerla col corpo di cui avvertiamo la polvere, la fibrillazione che si sconcerta tra il visibile all’invisibile, è preghiera dell’opera.
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