Giovedì 18 aprile 2019 dalle ore 18.00 si terrà l'inaugurazione della mostra "
Firenze, New York, Firenze" di
Rodolfo Marma presso la
Galleria FirenzeArt in Piazza Taddeo Gaddi 2/r, visitabile fino a sabato
18 maggio 2019.
Una città da vivere, da godere, da sognare. La Firenze di Rodolfo Marma è immersa nella quotidianità del suo essere semplice e maestosa, stretta nei chiassi angusti o aperta alla solarità delle piazze, all’imponenza dei monumenti.
Rodolfo Marma la sua città non l’ha soltanto osservata e ritratta. L’ha sentita dentro di sé, l’ha amata, interpretata, cantata come un poeta. E come i poeti è riuscito a sublimare la realtà, a renderla eterna. Ha saputo descriverne le emozioni più sottili, cogliere la gioia e il valore delle piccole cose, la voglia di esserci a testimoniarle. Una Firenze dal sapore pratoliniano, che oggi sembra lontanissima, quasi impossibile da immaginare, ma di cui subiamo il fascino della memoria. Una Firenze pulita, silenziosa, vivibile, al massimo “sporcata” da qualche ingenua scritta sui muri, più immaginata che reale, eppure vera, persino poetica. La Firenze popolare, dei barroccini e dei mercatini, della gente umile, un po’ becera ma schietta e onesta, che dice sempre quello che pensa, a costo di farsi dei nemici. Toscanamente critica, ironica, arguta, proprio come lui, che sapeva immedesimarsi nello spirito della sua città e dei suoi concittadini, raccogliendone gli umori più segreti, palpitanti, sinceri. La Firenze del dopoguerra, che riemerge prepotentemente dando fondo alle sue energie migliori, con l’arte che torna ad essere libera espressione di civiltà. Forse riaffiora il ricordo della terribile esperienza della guerra, quando lui, giovane oppositore del regime, venne preso durante una retata in Piazza Ferrucci e poi fu aiutato a fuggire da un militare tedesco anch’egli pittore. L’arte dunque che non ha confini, che unisce gli intelletti e i cuori, che racconta grandi e piccoli eventi, fatti d’amore e di dolore, di disperazione e di forza, come quando con l’efficace immediatezza dell’acquerello, l’artista partecipa al dramma dell’alluvione. E accanto alla Firenze ferita, c’è sempre la Firenze familiare, sorpresa in attimi d’intimità, mai affollata, spesso semideserta, sempre respirabile. La Firenze ancora assonnata, di cui amava assistere al risveglio lento, sotto la luce magica di albe radiose, la Firenze assorta nei pensieri di un fiaccheraio che da la biada al suo cavallo e si appresta a fare il primo giro della giornata con la sua carrozzella. La Firenze della nostalgia, il cui ricordo e il desiderio di rivederla riempiono le sue giornate newyorkesi. La Firenze degli anziani seduti sulle panchine dei giardini pubblici o in riva all’Arno, dei bambini che giocano, delle piccole collegiali amorevolmente accompagnate dalle immancabili “monachine” con la “cornetta” (il grande cappello bianco), tema ricorrente e tanto caro all’artista, forse per quella purezza interiore, per la luce abbagliante riflessa da quel copricapo immacolato che un giorno, per caso, l’aveva folgorato.
Era un’abitudine per Rodolfo Marma inforcare la bicicletta di primo mattino e andare a spiare la sua città, andare a scegliere un angolo sempre diverso, antico ma che aveva qualcosa di nuovo da scoprire e che in quel momento racchiudeva per lui il mondo intero. Era lì che voleva essere. Quelle pietre appartenevano al suo sentire, sapeva osservarle, analizzarle, ascoltarle, farle proprie, riservando grande attenzione ad ogni minimo particolare, al mutare del colore in relazione alla luce, all’incidenza delle ombre, al vibrare dell’aria. Nelle sue tele è riuscito ad annotare tutto quello che non saremmo mai riusciti a vedere, a fissarlo con la sua impronta inconfondibile. Questo è stato il suo intento, il suo impegno, a cui ha sempre tenuto fede: far vedere quello che non si vede, quello che all’occhio sfugge. E’ così che giunge all’essenza delle cose.
L’arte di Rodolfo Marma ci ha svelato l’essere più profondo della realtà. Scendere all’interno delle cose per capire il significato del loro esistere. Il ciottolo di un selciato, una finestra, un tetto, la facciata di un palazzo, lo scorcio ardito di un monumento preso da una certa angolazione. I quadri di piccolo formato e i verticali (quelli stretti e lunghi, per intenderci), sono un concentrato di abilità tecnica per la resa sintetica ed analitica al tempo stesso, per la perfezione prospettica di arcate inondate di sole, di volte a botte colpite da una luce che esalta i colori, dove lo sguardo sfila rapidamente senza perdersi un dettaglio, godendosi il bello più bello del vero. Questo è il prodigio di Rodolfo Marma. Creare e ricreare atmosfere perdute e farle rivivere con quel sentimento di sereno stupore che si rinnova continuamente. Così, grazie anche alla sua conoscenza della cultura e delle tradizioni cittadine, ci ha tramandato una pagina preziosa di storia e di cronaca quotidiana, con la fedeltà, la passione e la coerenza che hanno contraddistinto il suo percorso umano ed artistico.
Inizialmente legato all’insegnamento di Capocchini, negli anni ‘40 Marma mostra una vicinanza alla matrice postimpressionista filtrata dalla tradizione toscana nelle vedute fiorentine dai colori tenui, fusi, sfumati. Negli intensi ritratti ed autoritratti, prevalgono invece la fermezza del segno, il rigore cromatico, l’indagine psicologica. Negli anni ‘50 la traccia dell’influsso di Rosai è talora molto evidente, mentre le ricerche artistiche degli anni ‘60 lo influenzano marginalmente lasciando nella sua produzione splendide prove che versano all’informale.
Dalla fine degli anni ‘60 e negli anni ‘70 assistiamo ad un pieno ritorno al figurativo con insistente predilezione per le “monachine”, dispensatrici di grazia e di candore e per gli angoli, tutti da esplorare, della sua amatissima città. La Firenze nel cuore che compare per iniziali sul retro dei quadri fino al 1984 (Mio Eterno Amore). Per concludere, negli anni ‘90, con una sorta di riflessione attorno a toni sfumati e soffusi, ad un ritorno alla pennellata soffice e istintiva che pare sciogliere i contorni della realtà e coprirli con il velo della memoria. Variazioni riconoscibili ma pressoché impercettibili all’interno di una cifra stilistica unitaria ed assolutamente unica.
Accanto alla pittura e all’acquerello con cui ha ritratto anche i luoghi dei suoi soggiorni in Italia e all’estero, Rodolfo Marma ci rivela le sue grandi doti di disegnatore, la sua attività di illustratore di libri e di scenografo (importanti le scenografie per le commedie di Dori Cei), oltre alle litografie (bellissima la cartella dedicata a Firenze dai tetti nel 1972) e ad alcuni dipinti murali, tra cui due tabernacoli a Quarrata (Pt) e un’opera recentemente resa di nuovo visibile sulla facciata della scuola dei Padri Scolopi in Via Bolognese a Firenze. E la bellezza del paesaggio toscano fa da cornice alla grandezza di Firenze in tante opere nelle quali la natura è esaltazione della vita.
Mai statico né eclettico, Rodolfo Marma ha trovato facilmente la misura nell’arte e nella vita. Il suo essere sempre sé stesso è stato il segreto dell’apprezzamento da parte di tanti amici e colleghi che ha sempre affascinato con la sua pittura e piacevolmente intrattenuto in qualsiasi occasione, specialmente in spensierati incontri conviviali, con la simpatia, la disponibilità, il garbo e la battuta sempre pronta, talvolta pungente e maliziosa. Da Vasco Pratolini a Tino Buazzelli, da Giorgio La Pira a Piero Bargellini, da Luciano Bausi a Giovanni Spadolini. E poi Primo Conti, Enzo Faraoni, Renzo Grazzini, Silvio Loffredo, Guido Borgianni, Dario Ferrini, Piero Pierini, Galeazzo Auzzi, Umberto Bianchini, Graziano Marsili... fino agli artisti del Gruppo Donatello, di cui faceva parte. L’elenco sarebbe interminabile.
Rodolfo Marma amava essere presente nella sua città, insieme alla sua gente. E non va dimenticata l’importanza dello scambio culturale tra il Maestro e l’Amministrazione Comunale di Firenze, siglata con la donazione di diverse opere alla città, oltre al suo impegno civile a cui si deve tra l’altro, il ritrovamento nel 1963, di un prezioso dipinto di Silvestro Lega che giaceva nel sottosuolo del suo studio di Piazza Savonarola.
Il pensiero per Firenze l’ha accompagnato fino all’ultimo istante della sua vita. A noi ha lasciato una testimonianza unica e lui ha portato per sempre Firenze nel cuore.
Rodolfo Marma è nato a Firenze, nel 1923, dove frequenta l'Accademia di Belle Arti studiando con Ugo Capocchini e diplomandosi nel 1948. Negli anni cinquanta (precisamente dal 1956 al 1958) vive per due anni a New York dove ritorna anche successivamente. Si dedica sia alla pittura ad olio che alle varie tecniche grafiche: disegno, acquerello, pastello, ecc., dove pure si esprime a notevoli livelli. Partecipa a numerose Mostre in Italia e all'estero: specie negli Stati Uniti, in Francia e in Germania. Biografia completa ed aggiornata nei cataloghi "Firenze nel cuore" a cura di Gabriella Gentilini, Firenzeart, 2003. Suoi lavori si trovano in collezioni private d'Europa e degli Stati Uniti (citiamo ad es. la Casa Bianca a Washington e il Museo di S.Antonio nel Texas). In Italia ricordiamo quelli presenti a Firenze alla galleria d'Arte Moderna e al Museo delle Oblate. Hanno scritto di lui numerosi giornalisti, letterati, e critici tra i quali menzoniamo: U. Baldini, G. Colacicchi, R. Franchi, O. Gallo, R. Di Martino, C. Marsan, L. Jackson, T. Paloscia, A. Parronchi, E. Poesio, V. Pratolini, P. Romani, R. Thompson, N. Vitali. Ha tenuto importanti esposizioni personali in Italia e all'estero (la prima nel 1944 a Firenze) ed ha partecipato a concorsi di pittura, premi e mostre collettive. Si è spento a Firenze il 24 giugno 1998.
Per ulteriori informazioni:
www.firenzeart.it JB