Maria Venturi, in collaborazione con l’
Archivio Storico del Comune di Firenze, ha ideato, realizzato e finalizzato un progetto per ricostruire l’intero sistema di numerazione napoleonico nel suo percorso all'interno del centro storico della città, ma, nel contempo, volto anche a stabilire la corrispondenza tra numero civico francese e numero civico attuale, “visualizzando” i ricordi storici. Il volume "
Firenze dà i numeri" pubblicato dalle
Edizioni dell'Assemblea, la collana promossa e realizzata dal
Consiglio regionale della Toscana, che è nato da questa esperienza va, però, oltre alla rendicontazione di questo processo.
Con il primo gennaio 1809 una vera e propria rivoluzione investì la città: tutte le case furono identificate da un numero civico che, svolgendosi progressivamente, veniva a inserirle in modo preciso nel contesto cittadino. Fino a quel momento i fiorentini, per orientarsi, avevano fatto riferimento ai palazzi nobiliari (“ai Tornaquinci, “a’ Peruzzi”), alle botteghe e osterie (“a’ Ferravecchi, all’Osteria di’ Porco”), ai tabernacoli e alle chiese (“alla Madonna della Tromba, a San Tommaso”), ai canti (“al Canto alla Catena, alla Croce Rossa”) e questo sistema impreciso di riferimento era loro bastato per intendersi, perché ben conoscevano una città che da secoli era rimasta sostanzialmente immutata dal punto di vista urbanistico. Per questo non li turbava il fatto che il medesimo nome venisse usato per strade diverse e lontane oppure, viceversa, che una stessa via fosse identificata indifferentemente da più toponimi.
Che cosa allora era accaduto di nuovo? La Toscana, investita come il resto del mondo dalla travolgente epopea napoleonica, era entrata a far parte integrante dell’impero francese e i nuovi governanti stranieri si erano sostituiti alle tradizionali magistrature dei granduchi lorenesi. Stranieri, appunto, che in questa piccola giungla fiorentina, fatta di vicoli, chiassi, canti e piazzette con nomi spesso coniati dall’estro popolare non si potevano raccapezzare. Eppure la ferrea, efficiente burocrazia francese non ammetteva indugi. C’erano le tasse da imporre, le liste di leva da stendere, c’era da provvedere ad alloggiare truppe e ufficiali, da amministrare la giustizia, da censire la popolazione e, non ultimo, c’era da orientarsi in una città chiusa a chi non vi fosse nato. Con la classica rapidità ed efficacia, gli amministratori napoleonici intervennero a eliminare gli ostacoli. Fu un vero e proprio atto d’imperio, un’espressione significativa dell’assoggettamento alla nuova dominazione. Gli edifici dell’intera città furono contraddistinti da un numero progressivo, da 1 a 8028, e così d’un balzo vennero spazzate via tutte le difficoltà toponomastiche: per individuare una casa, per reperire un cittadino ora bastava un numero, non c’era più bisogno nemmeno di sapere in quale strada si trovasse. Come sappiamo, la dominazione francese della Toscana ebbe breve durata: nel 1814, travolto Napoleone dalle forze della coalizione, tramontava l’impero e anche Firenze ritornava sotto il governo dei granduchi lorenesi. La svolta significò restaurazione e, soprattutto nell’immediato, tutto venne ricondotto alle “antiche forme”, quelle spazzate via dall’irruente occupazione straniera. Tutto, ma non proprio tutto.
Il sistema di numerazione ideato e introdotto dai dominatori francesi fu apprezzato nella sua funzionalità e venne mantenuto, ci si preoccupò, addirittura, di dare disposizioni affinché se ne evitasse il deterioramento. Fu così che la numerazione continua, frutto di un atto di conquista, continuò a contrassegnare gli edifici di Firenze e solo motivi pratici ne determinarono la decadenza. Infatti, intorno agli anni Quaranta dell’Ottocento, Firenze iniziò la sua trasformazione urbanistica con la realizzazione dei quartieri “periferici” della Mattonaia, del Maglio, delle Cascine, che andarono a saturare gli spazi verdi, tenuti a orti e giardini, esistenti tra l’edificato del centro e le mura cittadine. Nuovi stabili significavano nuovi numeri civici e il sistema chiuso della numerazione francese cominciò ad avvertire la sua inadeguatezza. Si verificarono i primi strappi. Tuttavia ancora per diversi anni si tentarono soluzioni di mediazione, fino a che nel 1862 si cedettero le armi e il sistema napoleonico fu sostituito da quello attuale che prevede la numerazione strada per strada, con i numeri dispari sul lato sinistro e i numeri pari sul destro. Per un lungo periodo, quindi, dal 1809 al 1862 gli edifici di Firenze rimasero identificati dai numeri civici assegnati dai governanti francesi e, quindi, tutta la vita cittadina ruotò intorno ad essi, tutti i documenti prodotti dalle amministrazioni o dai privati, a qualsiasi titolo e per qualsiasi scopo, fecero riferimento a quella numerazione da 1 a 8028. Naturale e ovvia conseguenza, ma causa di notevoli problemi per la conoscenza della storia della nostra città. Infatti né le fonti, né gli studi storici avevano tramandato la “logica” con cui era stata realizzata l’assegnazione dei numeri alle case di Firenze. Pertanto, quando un documento raccontava il restauro che era stato eseguito a un palazzo, lo stabile in cui aveva dimorato un personaggio, la casa che ospitava la bottega di un certo artigiano, il teatro i cui aveva avuto luogo una rappresentazione e così via, risultava del tutto impossibile “collocare” la notizia nel tessuto cittadino. In una parola, la storia dei Firenze in questi decenni rimaneva decontestualizzata dalla sua entità fisica
Maria Venturi, fiorentina, laureata in Storia alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze e diplomata alla Scuola di Archivistica e Paleografia dell’Archivio di Stato fiorentino è stata a lungo funzionario dell’Archivio Storico del Comune di Firenze. Iniziatrice del progetto che ha portato alla realizzazione della Banca Dati Archifirenze ha maturato una competenza specifica nel rapporto fra archivistica e informatica, contribuendo a sviluppare gli strumenti di conoscenza della storia istituzionale della città e a fare dell’Archivio Comunale di Firenze un istituto all’avanguardia in termini di servizi all’utenza. È membro della Commissione toponomastica e continua la sua attività di ricercatrice e divulgatrice della storia fiorentina e toscana.
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