"La Mafia" di Luigi Sturzo, lo spettacolo nell'
adattamento di Piero Maccarinelli, debutta
giovedì 13 e venerdì 14 maggio 2021, alle ore 18.45, in
prima nazionale al
Teatro della Pergola di Firenze (Via della Pergola, 12/32).
In scena i giovani dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica Silvio d'Amico e della Fondazione Teatro della Toscana. È stato scritto nel 1900 e rientra a pieno titolo nella
battaglia di Don Sturzo contro la mafia e la partitocrazia connessa alla corruzione, al clientelismo, all'abuso del denaro e del potere pubblico. «Il linguaggio è secco, diretto, non conosce mediazioni: è sorprendentemente profetico o, meglio, è un'analisi lucida e sempre attuale dei metodi del sistema mafioso – afferma
Maccarinelli –
credo che affrontarlo per un gruppo di giovani possa essere un'utile lezione di etica da condividere. La Mafia è una testimonianza che arriva da un grande intellettuale cattolico capace di superare le visioni insidiosamente di parte nel momento in cui si tratta di fare quadrato rispetto al criminale disegno mafioso – prosegue
Maccarinelli –
il clima, la rete che si fonda intorno al candidato poco si scosta da quello che abbiamo purtroppo conosciuto lungo tutto il secolo scorso e ancora adesso nei primi vent'anni del Duemila». Il 29 maggio 2021 lo spettacolo sarà in prima serata, alle ore 21.15, su Rai Cinque, con la regia televisiva di
Marco Odetto. Il 25 febbraio 1900, a Caltagirone, al Teatro Silvio Pellico, si rappresenta La Mafia di Luigi Sturzo su un fenomeno criminale fiorente, che parla di Bene e di Male, ma che è anche storia vera. Una testimonianza dei legami già allora esistenti tra mafia e politica; legami ripetuti, complessi e forti al punto di condizionare le aule di giustizia.
Scritto in pochissimo tempo, il testo fu inserito nel 1974 nel primo volume degli «Scritti inediti» di Luigi Sturzo. Il dramma non venne però pubblicato integralmente, mancava il quinto atto, che non si trovò fra i documenti dell'Archivio Sturzo. Una sola breve scena venne ritrovata, ma molto significativa, che potrebbe avere il significato che Sturzo voleva. Non si è mai saputo in base a quale valutazione etica o politica Don Sturzo lo avesse eliminato dalle carte.
Al centro della messa in scena l'omicidio avvenuto nel 1893 del cavalier Emanuele Notarbartolo, direttore del Banco di Sicilia, ex sindaco di Palermo e deputato del Regno. Un delitto eccellente per cui la pubblica accusa aveva individuato come mandante l'on. Raffaele Palizzolo, una circostanza che causò enormi difficoltà e lungaggini allo svolgimento dei processi a carico di ideatori ed esecutori dell'omicidio. Una situazione intricata e melmosa da cui non a caso scaturirono sentenze contraddittorie: Palizzolo condannato in primo grado, venne assolto in appello dodici anni dopo, nel 1905. Era stato proprio Luigi Sturzo, alla vigilia della rappresentazione del suo dramma, a sottolineare in un articolo a sua firma sulla "Croce di Costantino" dal titolo La Mafia, i condizionamenti processuali e l'inquinamento evidente della vita sociale, culturale, economica e politica della giovane nazione. Il grido d'accusa rappresentato nel dramma firmato da Sturzo determinerà una scelta incontrovertibile dello statista siciliano, in cui prendono vita davanti agli spettatori i modelli di malaffare, gli interessi illeciti, le complicità, le contiguità e correità, sino alla partecipazione all'associazione criminale mafiosa, tutti vòlti al controllo della cosa pubblica e della politica, al fine di occupare i processi economici e sociali, ben prima della normazione del 416 bis del codice penale o dell'intervento giurisprudenziale del concorso esterno in associazione mafiosa.
Intenzione di Luigi Sturzo, già consigliere comunale di Caltagirone e fautore dell'intervento diretto dei cattolici in politica mediante un partito laico e autonomo dalla Chiesa e dal controllo dei consolidati ed elitari schieramenti della sinistra e destra storica presenti nel Parlamento del Regno, era quella di denunciare un grave fenomeno criminale, ma anche di fare formazione civile.
Sturzo aveva l'obiettivo di indirizzare le masse, in gran parte composte da persone che non sapevano leggere, con un messaggio semplice, basato su fatti reali. Allo scopo di rendere per loro possibile una scelta consapevole, di responsabilità. Oggi la potremmo definire
"una scelta di campo per il bene comune e la giustizia sociale".Ma questa infiltrazione criminale mafiosa nei gangli della vita pubblica ed istituzionale del Paese, sebbene così fortemente denunciata da Don Sturzo, non solo non trovava sufficiente riscontro attivo tra gli "immuni al cancro della immoralità pubblica", soprattutto era lasciata crescere e pervadere ogni angolo della battaglia politica nazionale, dall'ambito comunale sino al governo nazionale, afferrando Roma ed entrando pericolosamente, attraverso alcuni uomini politici a disposizione della mafia, nelle scelte di buon governo del Paese, indirizzandole verso una spartizione con i rappresentanti del partito affarista, diffusi in ogni dove, trasformando così, a dire di Don Sturzo, il popolo sovrano nel "Re di burla".
La sua battaglia contro la mafia e la partitocrazia connessa alla corruzione, al clientelismo e all'abuso del denaro e del potere pubblico, fu avversata nel modo più classico attraverso un metodo sempre in voga: la congiura del silenzio, andata avanti anche nel dopoguerra e fino a oggi, sebbene una parte politica sia stata tragicamente decimata anche dal cancro della immoralità, della corruzione e dell'infiltrazione mafiosa. Non è un caso che, salvo pochi studiosi, il contributo antimafia di don Sturzo comune alla sua lotta contro quelle che chiamava "le male bestie" che divorano la democrazia italiana, (la partitocrazia, lo statalismo e l'abuso del denaro pubblico), non sia mai stata analizzata compiutamente e, tantomeno, valutata nel considerare le cause del ritardo dello sviluppo del Mezzogiorno d'Italia. Né è stata mai presa almeno ad esempio di impegno civile.
Ha scritto Leonardo Sciascia in un articolo sul "Corriere della Sera" del 1987:
«Ed è esemplare la vicenda del dramma La Mafia di Luigi Sturzo. Scritto, nel 1900, e rappresentato in un teatrino di Caltagirone, non si trovò, tra le carte di Sturzo, dopo la sua morte, il quinto atto che lo, completava; e lo scrisse Diego Fabbri, volgarmente pirandelleggiando e, con edificante conclusione. Ritrovati più tardi gli abboni di Sturzo per, il quinto atto, si scopriva la ragione per cui la ‘pièce' era stata dal suo autore chiamata dramma (il che avrebbe dovuto essere per Fabbri, avvertimento e non a concluderla col trionfo del bene): andava a finir, male e nel male, coerentemente a quel che Don Luigi Sturzo sapeva e vedeva. Siciliano di Caltagirone, paese in cui la mafia allora soltanto, sporadicamente sconfinava, bisogna dargli merito di aver avuto, chiarissima nozione del fenomeno nelle sue articolazioni, implicazioni e, complicità; e di averlo sentito come problema talmente vasto, urgente e, penoso da cimentarsi a darne un ‘esempio' (parola cara a san Bernardino), sulla scena del suo teatrino. E come poi dal suo Partito Popolare sia, venuta fuori una Democrazia Cristiana a dir poco indifferente al problema, non è certo un mistero: ma richiederà, dagli storici, un'indagine e un'analisi di non poca difficoltà. E ci vorrà del tempo; almeno quanto ce n'è voluto per avere finalmente questa accurata, indagine e sensata analisi di Christopher Duggan su mafia e fascismo». Oltre a Leonardo Sciascia, merita una menzione il commento di Umberto Santino, tratto dalla Storia del movimento antimafia. Santino è ideologicamente di parte contraria al popolarismo sturziano. È da quelle parole che possiamo trarre l'assoluta attualità dell'impegno antimafia di Don Sturzo, ma anche quello della battaglia per il bene comune: «Il testo sturziano (..) è un preciso atto di accusa e ha una sua validità sul piano analitico, per la piena consapevolezza della complessità della mafia, del suo ruolo nell'economia e dei suoi rapporti con le istituzioni: sotto la protezione dell'uomo politico il mafioso "entra in tutti gli affari del municipio, negli appalti, nelle imprese, e ci ha i suoi guadagni".
La Mafia di Luigi Sturzo è uno sguardo puntato sul presente, che intravede sviluppi futuri. E gli sviluppi non sono mancati. Si sono verificati ovunque nella pubblica amministrazione, ogni volta che sono transitati denari da distribuire, appalti da assegnare, concessioni ed autorizzazioni amministrative da rilasciare. Un contesto in cui, nonostante il crollo della Prima Repubblica, l'immoralità e la corruzione di alcuni, il silenzio di tanti, hanno consentito di far avanzare man mano l'economia del malaffare, i trafficanti di influenze, i rappresentanti del partito affarista, le infiltrazioni mafiose. Tutti impegnati in una continua mediazione dei loro interessi illeciti per produrre bene solo per loro e male per il resto dei cittadini.
"La mafia"Dramma in cinque atti
di
Luigi Sturzoriduzione e adattamento
Piero Maccarinellicon
Lorenzo Guadalupi (Avv. Giulio Racconigi),
Athos Leonardi (Barone D'Acquasanta),
Iacopo Nestori (Avv. Fedeli),
Luca Pedron (On. di San Baronio),
Sebastiano Spada (Cav. Enrico Ambrosetti),
Filippo Lai (Comm. Roberto Palica),
Diego Giangrasso (Cav. Serimondi),
Adriano Exacoustos (Cav. Andrea Tarbi),
Paride Cicirello (Accarano),
Francesco Grossi (Maggiordomo)
scene
Gianluca Amodiocostumi
Laura Giannisimusiche
Antonio Di Pofiluci
Javier Delle Monacheuno spettacolo di
Piero Maccarinelliaiuto regia
Danilo Capezzanifoto
Tommaso Le PeraBiglietti: Intero € 15 - Ridotto € 10.
Per maggiori informazioni:
www.teatrodellapergola.com C.B.