Un’opera di Jean Arp, uno dei grandi maestri del Novecento, riaffiora dai depositi dei Musei Civici Fiorentini. Ancora una volta, il rapporto virtuoso tra il Museo Novecento e il mondo accademico ha dato vita a un’importante riscoperta: Larme de galaxie (1962), piccolo capolavoro donato dall’artista alsaziano alla città di Firenze all’indomani della drammatica alluvione del 1966, torna alla luce dopo circa tre anni di studio e ricerche condotti da Emanuele Greco, curatore della mostra
"Jean Arp. Larme de galaxie" dall'11 novembre 2022 al 15 febbraio 2023 al Museo Novecento, in piazza di Santa Maria Novella 10.
L’opera, un unicum nella produzione scultorea di Arp, fu donata alla città di Firenze grazie alla generosità della moglie dell’artista, Marguerite Arp-Hagenbach, che nel 1967, all’indomani dell’alluvione, rispose con questo significativo omaggio all’appello lanciato agli artisti contemporanei da Carlo Ludovico Ragghianti.
Protagonista assoluta della mostra è quindi Larme de galaxie, scultura in duralluminio realizzata da Arp nel 1962, che, a distanza di quasi sessant’anni dalla sua unica apparizione presso la Galleria Schwarz di Milano (1965), torna finalmente visibile in un’esposizione pubblica.
La scultura è posta in un dialogo serrato con il dipinto Forma in elevazione del 1963 di Leone Minassian (1905-1978) e idealmente si ricollega al grande marmo Il pastore dell’essere del 1963 di Alberto Viani (1906-1989), attualmente collocato nel cortile della Biblioteca delle Oblate di Firenze.
I due artisti, oltre ad essere stati ammiratori e amici del grande maestro alsaziano, ne furono sensibilmente influenzati, come rivelano le loro ricerche artistiche di matrice organica.
La presenza in mostra di Minassian, vero trait d’union tra il grande scultore e l’Italia dagli anni Quaranta ai Sessanta del Novecento, trova un’ulteriore giustificazione all’interno della storia stessa della donazione dell’opera Larme de galaxie. Grazie alla ricostruzione documentaria dell’intera vicenda è stato infatti possibile capire che fu proprio Minassian, appoggiato da Viani, a convincere la moglie dell’artista, da poco scomparso, a donare un’opera del marito alla città di Firenze per l’allora costituendo Museo Internazionale d’Arte Contemporanea (MIAC).
La mostra consente quindi non solo di ammirare un’opera del patrimonio fiorentino di cui si erano perse le tracce, ma anche di scrivere una nuova pagina di storia, imperniata sui legami e le affinità tra diversi protagonisti dell’arte italiana e internazionale del Novecento.
L’opera, appartenente a una fase tarda dell’attività dell’artista, rappresenta pienamente la poetica e lo stile di Arp in scultura, che prese avvio agli inizi degli anni Trenta, dopo la conclusione delle fasi dada e surrealista, con la ricerca di una plastica astratta, di matrice organica, intesa cioè non come imitazione delle forme della natura, ma come natura essa stessa: ovvero una materia, in cui restavano forti le assonanze alle forme di organismi animali e vegetali, costituita però della stessa forza germinante, spontanea e immediata, della natura, che fu sempre per Arp la principale fonte di ispirazione.
Le forme arrotondate, rese sinuose da un delicato gioco di variazioni tra rigonfiamenti e avvallamenti sulla levigatissima superficie, oltre che da un armonioso profilo ondeggiante, sembrano indicare Larme de galaxie come una di quelle fresche riprese condotte da Arp nella fase tarda – a cui si posso ascrivere, per confronto, tra le altre opere, Fruit d’une pierre del 1959, Gueule de fleur e Feuille sur cristal, entrambe del 1960 – delle sperimentazioni organiche compiute negli anni Trenta, e precisamente del momento in cui è presente uno schema plastico prevalentemente ovoidale e curvilineo, come in alcune opere della serie delle Concrezioni umane o dei Frutti.
La grandezza incontenibile della fantasia creativa di Arp è un aspetto che fu notato anche da Giuseppe Marchiori, tra i primi critici italiani a occuparsi dell’opera dell’artista, che così scriveva nel 1964: «C’è una tale ricchezza morfologica, che spazia nell’illimitato campo della natura con un continuo mutamento di prospettive e di temi, in una alternativa sempre rinnovata, dalla memoria delle favole infantili ai ricordi di una classicità sottratta alla storia, dalle evasioni nell’assoluto delle forme pure alle osservazioni di gesti e di aspetti di animali e di piante, dalle contemplazioni celesti ai turbamenti più umani dell’amore e della carne, dalle germinazioni e dalle crescite surreali alla scoperta, negli oggetti o nei monumenti, di un mondo originario, preistorico, affascinante e misterioso».
Hans (o Jean, in francese) Arp nasce a Strasburgo nel 1886. Conclusa l’Ecole des Arts et Métiers a Strasburgo, studia alla Kunstschule di Weimar, e all’Académie Julian di Parigi. Nel 1909 si trasferisce in Svizzera, dove nel 1911 fonda, insieme a Walter Helbig, Oskar Lüthy, Gimmi e Fritz Huf, il gruppo d’avanguardia Der Moderne Bund. L’anno seguente collabora al bollettino di “Der Blaue Reiter”, ed espone a Monaco, insieme ad altri artisti famosi (Kandinsky, Klee, Delaunay…). Incontra a Zurigo l’artista astrattista Sophie Taeuber, che sposerà nel 1922, con cui inizia un’interessante collaborazione artistica, incentrata specialmente sulla realizzazione di collage e arazzi. Nel 1916 apre a Zurigo il Cabaret Voltaire, luogo delle azioni dissacranti del gruppo d’avanguardia dadaista; durante questi anni Arp sperimenta i suoi primi rilievi policromi, collabora attivamente con le riviste dadaiste ed espone alle mostre collettive del gruppo. Negli stessi anni conosce e frequenta vari artisti d’avanguardia (Picabia, Schwitters…). Nel 1925 alcune sue opere vengono esposte alla prima mostra surrealista alla Galerie Pierre di Parigi. Collabora al progetto del Café de l’Aubette, un luogo polifunzionale nel centro di Strasburgo, in stile neoplastico. Negli anni ’20 crea le prime sculture a tutto tondo dalla chiara connotazione organica e naturale. Nel 1936, espone in due importanti mostre del Museum of Modern Art di New York, e nel 1949 si tiene la sua prima mostra personale statunitense alla Buchholz Gallery di New York. Nel 1954 riceve il Premio Internazionale per la Scultura dalla Biennale di Venezia, e nel 1963 il Grand Prix National des Arts. Prosegue con ardore e freschezza il suo lavoro di ricerca artistica in opere di scultura, rilievi e collage, continuando a esporre in tutto il mondo, fino al 1966, anno della sua morte avvenuta a Basilea.
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