A poco più di un mese dal suo ultimo concerto sinfonico al Maggio il
maestro Daniele Gatti - attualmente impegnato nella direzione dell’opera Falstaff- affronta per la prima volta l’
integrale delle sei sinfonie di Pëtr Il'ic Cajkovskij nell’ambito dell’
85° Festival del Maggio. I tre concerti, ovviamente con l’
Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, sono in programma il
22 e 28 giugno e il 1 luglio 2023, tutti alle ore 20 in
Sala Zubin Mehta.
Alle sinfonie il compositore ha dedicato quasi tutta la seconda metà della sua vita, anche se si può definire Cajkovskij un sinfonista per vocazione per l’impegno che ha anche profuso nei generi del balletto e dell’opera. La mole delle composizioni sinfoniche (Ouverture, Fantasie, Serenate, Suite, Danze, ecc.) rivela inoltre un’attitudine alla libera invenzione strumentale, che l’autore non sempre desiderava adattare alla grande forma, o meglio, lo faceva solo quando intravedeva un significato nella struttura. Cajkovskij si dedicò alla composizione delle sue sei sinfonie a partire dal 1866 fino al 1893, anno della morte. Egli utilizzò la sinfonia come un contenitore in cui riversare il suo mondo romantico e sentimentale, allontanandosi spesso dai rigidi schemi imposti dal genere sinfonico e adattando di volta in volta la forma alle proprie esigenze. Se la Prima e la Seconda sinfonia sono le opere maggiormente legate alla tradizione russa per l’uso di materiali tematici popolari, la Terza risalta per la scrittura volutamente impegnata con il ricorso massiccio al contrappunto; la Quarta e la Quinta hanno forma ciclica adottando il principio del tema ricorrente, mentre la Sesta, infine, si distingue per il finale innovativo, inaspettatamente chiuso da un tempo lento - il canto del cigno del compositore - che farà scuola ai sinfonisti successivi.
Il concerto del 22 giugno pone in locandina, in apertura, la Sinfonia n. 3 in re maggiore op. 29, detta Polacca, che Cajkovskij iniziò a comporre nel giugno del 1875 mentre era ospite della casa di campagna di Vladimir Stepanovic Šilovskij, suo allievo del conservatorio a cui dedicherà la composizione. Unica tra le sue sinfonie in tonalità maggiore e unica ad avere un quinto movimento finale, la Sinfonia n. 3 fu eseguita per la prima volta a Mosca il 7 novembre 1875 sotto la direzione di Nicolaj Rubinštejn. Alla Polacca che caratterizza il movimento di chiusura si deve il sottotitolo apocrifo, diffusosi molti anni dopo la pubblicazione della Terza per fini commerciali. Rispetto alle prime due sinfonie, legate alla tradizione musicale russa, e alle ultime tre, nate sotto il segno di un fato avverso, la sinfonia “Polacca” appare un caso isolato. È un’opera in cui mancano i grandi e fascinosi temi tipici di Cajkovskij a favore di elementi tematici più brevi e coincisi che servono all’autore per un diligente lavoro di contrappunto riscontrabile nel corso dei vari movimenti, in cui si insinuano in maniera più o meno evidente tempi di danza: dalle marce al valzer, fino alla famosa polacca conclusiva dal cui disegno ritmico prende vita una fuga altisonante. Cajkovskij, sempre ipercritico nei confronti del proprio operato, dirà a proposito della Sinfonia n. 3: “Mi sembra che non presenti alcuna idea particolarmente innovativa, ma che dal punto di vista tecnico rappresenti un passo avanti nel mio lavoro”, biasimando da un lato la scarsa originalità tematica ma riconoscendo dall’altro il valore della costruzione formale.
A dieci anni di distanza dalla Quarta Sinfonia, nel 1888 Cajkovskij torna a confrontarsi nuovamente con il tema del destino, motivo ispiratore anche della Quinta. Dopo un periodo di abulìa, il compositore pare aver ritrovato l’ispirazione giusta che lo sprona, come scrive all’amica e confidente Nadezda von Meck, a realizzare alacremente la Sinfonia n. 5 in mi minore op. 54. L’esecuzione, diretta dallo stesso autore nel novembre del 1888 a San Pietroburgo, è accolta con favore dal pubblico ma meno dalla critica. Cajkovskij inizia a dubitare della validità della sua ultima opera giudicandola inferiore al lavoro precedente, salvo poi ricredersi dopo i successi riportati dalla Quinta nei concerti della tournée europea dell’anno successivo. A differenza della Quarta, la Quinta manca di un programma vero e proprio, sebbene vi siano a margine della partitura brevi pensieri che alludono al tema della lotta dell’uomo contro il destino avverso. Secondo il modello codificato da Berlioz, la Quinta è costruita sul principio ciclico dell’idea tematica ricorrente che collega i quattro movimenti. Il motto del destino è presentato per la prima volta nell’Andante che a passo lento e mesto introduce il primo movimento. Il secondo movimento è un perfetto campionario delle melodie di indiscutibile bellezza di casa Cajkovskij, con gli assolo del corno e dell’oboe che scaldano il cuore come un ‘raggio di luce’, ma la serenità è solo apparente poiché il destino riappare con il suo motto, stavolta intonato dai tromboni. Nell’elegante Valse si respira aria mondana che ritarda l’inevitabile resa dei conti demandata al finale. Qui il motto riappare ma in tonalità maggiore: totalmente trasfigurato e svuotato della sua carica negativa non incute più timore e il grandioso tripudio sonoro dell’orchestra ne sancisce enfaticamente la sconfitta.
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