Un drappello di undici nuove opere dell’Ottocento entra alle Gallerie degli Uffizi. Vanno dalla personalissima interpretazione del Neoclassicismo espressa da Luigi Ademollo, passando poi all’esuberante Romanticismo di Bezzuoli, fino all’entusiasmo della rivoluzione industriale (celebrato dalla statua di Romanelli) e
verranno presto esposte alla Galleria di Arte Moderna di Palazzo Pitti. Dopo il successo della prima mostra monografica dedicata a Giuseppe Bezzuoli, allestita a Palazzo Pitti l’anno scorso (“Giuseppe Bezzuoli (1784-1855). Un grande protagonista della pittura romantica”, dal 29 marzo al 5 giugno 2022, 162.659 visitatori) alle collezioni degli Uffizi si aggiunge ora una serie di capolavori del pittore, il più grande rappresentante del Romanticismo in Toscana (e non solo). La Madonna col Bambino dormiente, Amore vince la Forza e due disegni (Ballerina “vista alla Pergola”, Episodio del diluvio con Studi vari per figure) provengono tutti da un’importante raccolta privata di un grande studioso dell’artista. A questi si aggiunge il dipinto Maria Maddalena tentata dalle bellezze della vita passata, emerso dall’oblio proprio grazie all’esposizione fiorentina e acquisito da una collezione privata spagnola, ideale pendant di un’altra Maddalena penitente dello stesso Bezzuoli, conservata nella Pinacoteca Foresiana di Portoferraio.
Ad acquistare i disegni di Ademollo e la scultura di Romanelli, destinandoli alla Gam, è stato invece lo stesso Stato italiano, che, dopo averne bloccato l’esportazione, ha scelto la Galleria di Arte Moderna di Palazzo Pitti quale contesto più consono ad accoglierli, esaltandone il loro loro valore artistico ed espressivo.
“Altri musei hanno scelto di relegare le loro collezioni ottocentesche nei depositi per far spazio all’arte contemporanea: la Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, al contrario, continua ad invigorirsi di nuovi capolavori di quel secolo – commenta il
direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt - essi permettono ai visitatori di ripercorrere la storia della Toscana e dell’Italia intera dai primi sentimenti nazionali al Risorgimento e all’Unità italiana. Siamo particolarmente fieri di poter aggiungere altre cinque opere del fiorentino Giuseppe Bezzuoli, di fama europea e in verità mondiale, continuando l’impegno che ha già visto l’acquisto recente di altri suoi quattro capolavori (Eva tentata dal serpente e Il ripudio di Agar nel 2018, L’armata di Giovanni delle Bande Nere al passaggio dell’Adda nel 2019, Lo stregone e gli amanti nel 2021), e l’organizzazione della sua prima mostra monografica, a Palazzo Pitti, l’estate scorsa”.
LE OPERELuigi Ademollo (Milano 1764 – Firenze 1849)
Episodi delle gesta di Alessandro Magno tratti dalle Vite Parallele di Plutarco (serie di cinque monocromi, UNO IN FOTO)
1800 c.
cm 60x85 - matita nera e acquerello su carta
I grandi disegni a matita nera ed inchiostro acquarellato di Luigi Ademollo raccontano cinque episodi della vita di Alessandro Magno, e per la loro maestosità vennero probabilmente realizzati in preparazione a un ciclo di affreschi. Questi fogli rappresentano un interessante approfondimento della vicenda artistica del pittore neoclassico, che fece della grafica la base della sua fecondissima carriera. La serie potrebbe essere collegata all’impresa decorativa del “Trionfo di Alessandro” nella Villa detta il Pozzino, ma potrebbe anche riferirsi alle pitture di Palazzo Bianchi a Siena, in cui Ademollo dipinse le Nozze di Alessandro e Rossane.
Giuseppe Bezzuoli (Firenze, 1784 – 1855)
Amore vince la Forza (ANCHE IN FOTO)
1843 c.
cm 145 x 163 - olio su tela
La tela traspone in pittura il motto virgiliano “Omnia Vincit Amor”, tornato in auge con i testi del Neoplatonismo e nella pittura dell’Ottocento: Eros, raffigurato come uno spensierato giovinetto alato, cavalca con noncuranza un leone addomesticato. Accanto a lui, un amorino rallegra la scena con il suono di una cetra; intorno, un’insolita brigata di coppie di animali, come serpenti, colombe e rane, si bacia appassionatamente.
Giuseppe Bezzuoli (Firenze, 1784 – 1855)
Ballerina “vista alla Pergola” (ANCHE IN FOTO)
1840 c.
cm 39 x 31 (con passepartout) - inchiostro su carta avorio
Sospesa nel vuoto, una giovane donna dalla veste svolazzante, a piedi scalzi, cede all’impeto di una giravolta. Le braccia alzate, l’espressione inebriata e la chioma fluttuante danno l’idea di un rapimento assoluto, di un abbandono totale. I tratti del disegno, come la ballerina, sono leggeri, spontanei e inafferrabili.
Giuseppe Bezzuoli (Firenze, 1784 – 1855)
Episodio del diluvio (recto); Studi vari per figure (verso)
1850-51
cm 50 x 64 (con cornice)
inchiostro e gessetto su carta (recto), matita e inchiostro su carta (verso)
Il recto del foglio reca uno studio a penna dell’opera Episodio del Diluvio, oggi perduta ma ampiamente documentata fin dal 1833. Da questo singolo frammento si percepisce tutta la sublime terribilità della composizione ideata da Bezzuoli: tra la violenza dei flutti, una donna si protende invano verso il figlioletto, trascinato via dalle onde.
Giuseppe Bezzuoli (Firenze, 1784 – 1855)
Madonna col Bambino dormiente (ANCHE IN FOTO)
1838
cm 56 x 46 - olio su tela
Maria, posta in tre quarti, regge con premura il Bambino, frontale, che nel sonno si abbandona dolcemente all’abbraccio della madre. La sontuosa veste della vergine, tipicamente ottocentesca, le scivola delicatamente sul braccio, lasciandole nuda la spalla sinistra. La libertà con cui l’artista interpreta il soggetto sacro, indugiando sulla dolcezza sensuale della pennellata e intensificando i colori del viso della donna, si può in parte spiegare con la destinazione privata dell’opera, commissionatagli da Angiolo Biondi di Castelfalfi, grande estimatore del Bezzuoli.
Giuseppe Bezzuoli (1784-1855)
Maria Maddalena tentata dalle bellezze della vita passata (ANCHE IN FOTO)
1841
cm 130 x 101,5 - olio su tela
Nell’antro di un’aspra grotta selvaggia, Maria Maddalena piange, pentita, in un’inquieta posa straziante: una tenue luce crepuscolare le scalda il volto, le spalle e la lunga capigliatura, donando al pathos del suo pentimento un’avvolgente sensualità. Tra gli evidenti richiami a Tiziano e ad Annibale Carracci, gli ammiccanti angioletti che reggono lo specchio simbolo di vanità, a cui la protagonista rifiuta lo sguardo, sono un elemento assolutamente originale.
Pasquale Romanelli (Firenze 1812 – Firenze 1887)
Genio del Progresso (ANCHE IN FOTO)
post 1868 – 1881 ca.
cm 140x50x50 - marmo bianco di Carrara
Unicum nelle collezioni pubbliche fiorentine, l’acerbo Genio di Romanelli, rarissima testimonianza artistica dell’attività massonica, incarna tutta l’ambizione della neonata Italia di affermarsi tra le potenze mondiali anche sul piano tecnico e scientifico. Rifacendosi agli ideali dell’associazione, l’artista infonde nella classicità della scultura un’audace spinta positivista: il corpo del Genio, seminudo e alato come nella tradizione antica, è avvolto da una lunga fascia su cui si dipana una schiera di congegni industriali quali telescopi, astrolabi o motori, strumenti indispensabili al Progresso; il braccio regge con fervore la fiaccola della conoscenza, mentre il capo è coronato da una stella che avvolge il triangolo con l’occhio della Provvidenza, simbolo massonico dell’ordine divino.
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https://www.uffizi.it