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giovedì 21 novembre 2024

"Arlecchino?", spettacolo di Marco Baliani con Andrea Pennacchi al Teatro Era e alla Pergola

06-02-2024
Un’icona internazionale della tradizione della Commedia dell’arte trasportata e rinvigorita nella contemporaneità. Al Teatro Era di Pontedera il 3 e 4 febbraio 2024, al Teatro della Pergola dal 6 all’11 febbraio 2024, Marco Baliani scrive e dirige "Arlecchino?" per Andrea Pennacchi, attore, drammaturgo e regista teatrale, noto al grande pubblico per il personaggio di Pojana, ospite fisso a Propaganda Live su LA7.

In scena Pennacchi, alla testa di un numeroso cast composto da Marco Artusi, Federica Girardello, Miguel Gobbo Diaz, Margherita Mannino, Valerio Mazzuccato, Anna Tringali, interpreta un uomo di oggi, ingaggiato per fare Arlecchino. Proprio dal dissidio tra la maschera e il mondo contemporaneo scaturiranno situazioni esilaranti, ma anche dissacranti visioni e imperdibili scontri. E Arlecchino attraverserà, con la sua goffaggine e la sua furbizia, quei territori dello spirito umano che in ogni epoca mostrano le loro eterne contraddizioni.

Uno spettacolo, impreziosito dalla musica dal vivo eseguita da Giorgio Gobbo, Riccardo Nicolin, sul potere terapeutico della risata, anche quando è un po’ cattiva, perché mordere fa sempre bene: riattiva la circolazione del sangue.

Mercoledì 7 febbraio 2024, alle 18, Andrea Pennacchi incontra il pubblico al Teatro della Pergola. Coordina Matteo Brighenti. Ingresso libero fino a esaurimento dei posti disponibili con prenotazione online al link http://tinyurl.com/incontropennacchi. Durante l’incontro Simone Pacini presenterà la puntata dedicata ad Arlecchino del suo podcast Fatti di teatro prodotto da clacson.media.

Le parole del regista Marco Baliani: «L’Arlecchino che Andrea Pennacchi porta in scena farà forse sussultare i tanti Arlecchini che nel tempo hanno fatto grande questa maschera della Commedia dell’arte. Lui cerca in tutti i modi di essere all’altezza del ruolo, ma non ne azzecca una, è goffo, sovrappeso, del tutto improbabile, ma è in buona compagnia: gli altri attori che, come lui, sono stati assoldati con misere paghe dall’imprenditore Pantalone, sono, al pari di Arlecchino, debordanti, fuori orario, catastroficamente inadeguati. Eppure, tutti questi sbandamenti, queste uscite di scena e fughe dal copione, che sono anche uscite nella contemporaneità dell’oggi, queste assurde prestazioni, queste cadute di stile e cadute al suolo di corpi sciamannati, tutte queste parole affastellate, tutto questo turbinio di azioni e gesti, stanno proprio rifacendo il miracolo della grande commedia goldoniana, in una forma non prevista, una commedia dirompente, straniante, che ricostruisce la tradizione dopo averla intelligentemente tradita. Ed ecco allora che la storia, nonostante tutto, anzi proprio grazie a questo tutto invadente, si dipana nella sua narrazione e ne esce un Arlecchino mai visto, che riunisce stilemi diversi, frammenti di cabaret, burlesque, avanspettacolo, commedia, dramma, un gran calderone ultra postmoderno che inanella via via pezzi di memoria della storia del teatro. Per riuscire a creare un simile guazzabuglio di intenzioni, per riuscire a renderlo eccezionalmente vivo, occorrevano attori capaci di seguirmi in un simile delirio. Ed eccoli qui, una compagnia di compagni e complici, Marco Artusi, Federica Girardello, Miguel Gobbo Diaz, Margherita Mannino, Valerio Mazzucato, Anna Tringali, capaci di interpretare contemporaneamente più ruoli, di passare dalle proteste borbottanti degli attori sottopagati alle vorticose azioni dei personaggi della commedia che pur devono rappresentare. In questo incessante salto mortale di identità è il loro talento a tenere insieme ciò che di continuo sembra sfuggire alla presa. Appartengono di diritto alla grande tradizione del teatro veneto, grande perché sempre capace di rischiare per rinnovarsi, come accade su queste tavole sceniche imbandite di follia arlecchinesca. Durante le prove immaginavo di avere Carlo Goldoni seduto in terza fila, e dovevo dirgli di fare silenzio tanto si sganasciava dalle risate, con gli occhi stupiti di bambino mai cresciuto di fronte a questa sua opera divenuta così inverosimile da essere ancor più sua. E quando poi le musiche di Giorgio Gobbo accompagnate dalla batteria di Riccardo Nicolin si infilavano come blitz sorprendenti costringendo gli attori a divenire anche danzanti e cantanti, il Goldoni là dietro non si teneva più. Infine, che dire delle scene fluttuanti di Carlo Sala, una scenografia semovente, mobile, semplice come lo è la creatività quando si dimentica di dover fare bella figura e si lascia andare al gioco infantile, grazie agli stessi attori che si fanno operai macchinisti, modificando la scena di continuo, come avvenissero improvvise folate di vento, a volte in forma di bufera, a volte come zefiro primaverile. Il testo febbrilmente rimaneggiato ogni giorno, a partire dalle intuizioni che sorgevano in me, vedendo all’opera la creatività degli attori, e trascritto con solerzia da Maria Celeste Carobene, è proprio quello che fin dall’inizio avevo immaginato. Le parole che vengono fatte volare sono anch’esse leggere, eppure, come accade davvero nella vera commedia, arrivano stilettate e spifferi lancinanti, che parlano dei nostri giornalieri disastri di Paese e di popolo, così che i terremoti scenici ci ricordano il traballare quotidiano delle nostre esistenze

Per maggiori informazioni e orari: www.teatrodellatoscana.it