La Galleria dell’Accademia di Firenze presenta un video-documentario, prodotto per raccontare il dietro le quinte del restauro effettuato sulla splendida tavola raffigurante "La Resurrezione" di Raffaellino del Garbo, degli inizi del XVI secolo, e sulla sua monumentale cornice lignea.
Attraverso gli interventi di Cecilie Hollberg, direttore della Galleria dell’Accademia di Firenze, di Cesare Sampieri, storico dell’arte, e dei restauratori -Debora Minotti, per la parte pittorica, Roberto Buda, per il supporto ligneo, e Luisa Landi, per la cornice - il video, realizzato da Art Meet, diretto da Sandro Nardoni, oltre a illustrarci le varie fasi degli interventi effettuati sull’opera nel suo complesso, approfondisce anche la figura del suo autore, Raffaellino dei Carli (S. Lorenzo a Vigliano, 1466 - Firenze, 1525 circa), detto del Garbo, proprio per avere avuto bottega nell’omonima via a Firenze.
“Abbiamo approfittato dei grandi cantieri di rinnovamento del museo, che ha visto la movimentazione di molte opere delle nostre collezioni, per restaurare La Resurrezione” spiega Cecilie Hollberg. “Un restauro molto impegnativo, durato più di un anno, che ha richiesto la presenza di ben tre restauratori: due che si sono occupati della superficie pittorica, sia della tavola che della cornice, e un terzo che ha lavorato sulla struttura lignea. Raffaellino del Garbo è un pittore, ad oggi, ancora poco studiato e le indagini fatte ci hanno permesso di capire meglio il suo metodo di lavoro, un artista dalle grandi capacità. Questo intervento ci ha riservato delle vere sorprese, ci ha messo di fronte un dipinto con delle tonalità cromatiche diverse, è venuta fuori tutta la sua brillantezza che prima non era evidente, era totalmente appiattito nelle sue superfici, senza volumetria. Sono emersi particolari che prima non si vedevano, come, ad esempio, il nitore del cielo e del paesaggio dello sfondo, o il riflesso della luce sugli elmi dei soldati”.
Storia de La Resurrezione
La pala fu commissionata dalla famiglia Capponi per la cappella detta del Paradiso, nella chiesa di S. Bartolomeo a Monteoliveto. Fu eseguita tra il 1500 e il 1505, e la cornice, più tarda di qualche anno, reca lo stemma della famiglia. È una delle prime tavole pubbliche con cui Raffaellino si presenta, dopo il soggiorno romano a seguito del suo maestro Filippino Lippi, come scrive anche Vasari nelle Vite. Quest’opera gli frutterà, subito dopo, numerose commissioni da famiglie nobili dell’Oltrarno per altri importanti contesti fiorentini.
All’interno dell’iconografia tradizionale de La Resurrezione colpisce soprattutto la ricerca nella caratterizzazione umana dei personaggi. Nei tratti a volte graziosi e delicati, a volte bizzarri e contorti, come nelle pose dei soldati, ritroviamo sia l’influenza di Filippino Lippi, sia quella di Verrocchio e di Leonardo, di cui si presume abbia visto La Battaglia di Anghiari. In uno dei soldati, riversi sotto il sarcofago, ha ritratto Niccolò Capponi. L’impostazione della scena richiama, inoltre, le composizioni di Domenico Ghirlandaio. Questi espliciti riferimenti ai maestri citati denotano la capacità di Raffaellino di aggiornarsi sull’arte del suo tempo e di combinare le sue molteplici fonti di ispirazione con esiti di grande piacevolezza narrativa ed efficacia espressiva.
Una particolarità, il fronte del sarcofago riporta una scritta legata alla discesa agli inferi di Cristo e alla sua vittoria sulla morte che non sembra essere una citazione ma presumibilmente fu suggerita al pittore dai padri benedettini che occupavano la Chiesa. Il significato profondo del tema sacro è reso familiare grazie alla scelta dell’ambientazione: sullo sfondo è infatti ben riconoscibile una veduta della città di Firenze, caratterizzata dall’Arno e dai suoi principali monumenti, come la torre di Palazzo Vecchio. Qui appare anche un edificio bizantineggiante, unico nel repertorio di Raffaellino.
La cornice lignea a tabernacolo, intagliata e dorata, completa e valorizza l’opera. In stile tipicamente cinquecentesco, fu fatta fare nel 1580 da Giovanni Capponi e Elisabetta Bonsi, nobile matrona fiorentina.
La Resurrezione rimase nella chiesa a S. Bartolomeo a Monteoliveto fino al 1800, trasferita, a seguito delle Soppressioni, prima nei depositi della Galleria dell’Accademia di Firenze e poi in quelli degli Uffizi. Dal 1950 è esposta nella Sala del Colosso della Galleria dell’Accademia.
Il restauro
Il restauro ha permesso una concreta riflessione sull’opera, grazie ad un’articolata campagna diagnostica analitica, multi-tecnica non invasiva che ha integrato imaging fotografico e metodologie di analisi, operazioni indispensabili per ottenere una serie di informazioni utili per l’intervento. Il progetto diagnostico, oltre alla normale documentazione, ha offerto una dettagliata visione del dipinto per la conoscenza dei materiali e della tecnica esecutiva. È stata individuata la tavolozza cromatica usata da Raffaellino del Garbo ed è stato possibile indagare, sotto agli strati pittorici, il disegno preparatorio realizzato dal pittore, vederne i suoi ripensamenti.
L’intervento è stato condotto per gradi: prima di agire sulla superficie pittorica, è stato necessario agire sul supporto ligneo. Il complesso insieme delle operazioni sugli gli strati pittorici, molto sofferenti, ha visto: la fermatura, la pulitura, eseguita dopo gli opportuni test per individuare la metodologia da usare ed il livello più corretto da raggiungere, e l’integrazione molto rispettosa delle parti pittoriche, prima di arrivare alla protezione finale.
Un altro delicato e complesso restauro è stato attuato sulla cornice lignea a tabernacolo che completa e valorizza l’opera di Raffaellino del Garbo. La cornice, separabile in cinque parti distinte, è stata anch’essa oggetto di una campagna di indagine diagnostica preliminare. Ogni pezzo è stato trattato come fosse un’opera a sè stante. Sono state avviate delicate operazioni di fermatura e consolidamento, differenziate a seconda delle situazioni di fragilità ed instabilità, di pulitura selettiva, stuccatura ed integrazione delle lacune e di protezione finale. Il restauro, soprattutto nel finto effetto marmoreo della predella e della trabeazione, ha recuperato la realisticità che la pittura doveva avere in origine. Più complicato è stato l’intervento sulla parte centrale, offuscata dalle ridipinture fatte negli anni. Rimuovendo le stratificazioni è stata raggiunta la superficie originaria. Il risultato finale è stato quello di aver ricostruito l’unita dell’oggetto in sintonia con l’opera di Raffaellino del Garbo.
Per ulteriori informazioni: https://www.galleriaaccademiafirenze.it