Due nuove immagini di Leopardi. Il volume dell'edizione tematica dello Zibaldone curata da Fabiana Cacciapuoti dedicato alla riflessione sulle lingue antiche e moderne e l'interpretazione di Gaetano Lettieri dell'ultra filosofia come "ultra-cristianesimo" e apocalisse atea. Mercoledì 4 dicembre 2024, alle ore 17.30, la Biblioteca delle Oblate di Firenze (via dell'Oriuolo, 24) ospita la presentazione del saggio "Dulce naufragium. Desiderio infinito e ateofania in Leopardi" di Gaetano Lettieri (Marsilio Editori) e del libro "Zibaldone di pensieri. Edizione tematica condotta sugli Indici leopardiani" a cura di Fabiana Cacciapuoti, con preludio di Antonio Prete (Donzelli Editore), per la XXX stagione di "Leggere per non dimenticare", il ciclo di incontri a cura di Anna Benedetti. Presentano Alberto Folin e Gaspare Polizzi.
"Dulce naufragium. Desiderio infinito e ateofania in Leopardi" di Gaetano Lettieri (Marsilio Editori)
L’anatomia del cristianesimo, operata nello Zibaldone, dischiude un’intelligenza storicizzata del desiderio d’infinito, scandita dalla dialettica tra vanità e piacere, verità scettica e illusione idealizzante, morte della filosofia e reviviscenza della poesia. Dimostrato che l’ideale romantico del desiderio infinito dipende dalla metamorfosi di “invenzioni” patristiche dispiegatasi sino alla modernità, si scoprirà che il verso più famoso della letteratura italiana riecheggia un passo di un sermo de cruce del v secolo, ove il dulce naufragium è l’esito del canto seduttivo e mortale delle sirene. L’infinito si rivela, così, canto ulissiaco, eppure memore di Pascal, la cui fede gratuita oscillava sospesa nell’incerto tra gli abissi dell’infinito e del nulla, che il poeta immagina ormai disancorati dalla verità teologica, che pure li aveva rivelati. La ginestra è l’ultimo approdo di questa coerente decostruzione del cristianesimo, come è suggerito dall’epigrafe giovannea, confermato dai Pensieri postumi, provato dalla sua sistematica dipendenza polemica dalla teodicea delle Opere morali del gesuita Bartoli, «il Dante della prosa italiana», assunte sin dalle Operette morali come modello di letteratura filosofica, seppure “convertita” in parodia nichilistica. Il fiore del deserto, che piegato il suo «capo innocente» soccombe alla violenza del vulcano, è non solo metafora del poeta patiens, umiliato dal «secol superbo e sciocco» e rivelatore della ateologica vanità del tutto, ma anche figura secolarizzata di Gesù, «il fiore di Jesse» morente sul Golgota, celebrato dal poeta adolescente nei Discorsi sacri. L’ultra filosofia leopardiana non è allora un anticristianesimo, ma un ultracristianesimo, un’apocalisse atea: il poeta toglie in sé l’irriducibile nucleo sacrificale e sapienziale evangelico, l’uomo Gesù abbandonato da Dio, la miracolosa resurrezione dell’amore dalla morte, del senso dalla vanità. Questo risorgimento è l’epifania del gratuito, l’essere aperti, nella sapienza di nulla, all’evento del buono e del bello, vivendo della fede nella dignità sacrale dell’ecce homo senza Dio. Una memoria cristiana spezzata e disseminata... Ateofania: la pietà del flos sublimis è l’ultima, più profonda verità del dulce naufragium.
Gaetano Lettieri è professore ordinario di Storia del cristianesimo e delle chiese presso Sapienza Università di Roma, dove dirige il Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo. Oltre ai recenti studi su Nuovo Testamento, gnosticismo, Origene, Eriugena, Machiavelli, Erasmo, si segnalano: Il metodo della grazia (1999); L’altro Agostino (2001); Un dispositivo cristiano nell’idea di democrazia? (2011); Il differire della metafora (2021); e, con Luigi Manconi, Poliziotto Sessantotto. Violenza e democrazia (2023).
"Zibaldone di pensieri. Edizione tematica condotta sugli Indici leopardiani" a cura di Fabiana Cacciapuoti, con preludio di Antonio Prete (Donzelli Editore)
Si conclude con questo volume il cantiere dedicato all’edizione tematica dello Zibaldone, inaugurato più di venti anni fa da Fabiana Cacciapuoti. I due «trattati» che prendono forma in queste pagine ci mostrano un Leopardi poco noto: non tanto il poeta o il filosofo, ma il filologo. La sua riflessione sulle lingue antiche e moderne si svolge in un vero corpo a corpo con le parole: attraverso un metodo comparativo che coinvolge un numero amplissimo di lingue – dal greco al latino, dallo spagnolo al francese, dal copto al sanscrito, al celtico, all’ebraico – Leopardi elabora alcune originali teorie, confuta convinzioni saldamente radicate e sostiene tesi allora poco seguite, come la formazione dell’italiano dal latino volgare e non da quello letterario. L’origine del linguaggio, la nascita della favella, l’invenzione dell’alfabeto, lo studio etimologico sono tutti elementi di una tensione – dai chiari echi vichiani – che sospinge Leopardi nel passato, alla scoperta degli albori della civiltà; ma accanto a questa corrente agisce in lui una forza contraria che lo sollecita in avanti, inquieto sul futuro dell’italiano. La lingua è un organismo vivente per Leopardi, che per farsi vigoroso deve rinnovarsi senza sosta: incrociarsi, contaminarsi con il parlato e con le altre lingue; solo così si arricchisce: non in solitaria avventura, ma, come scrive Antonio Prete nel Preludio al volume, «in una coralità di scambi, interferenze, correlazioni». Se il timone di questo processo inarrestabile va affidato alle mani esperte degli scrittori più autorevoli, lontano deve esserne tenuto chi pretende di imbrigliarlo entro canoni e norme. Da qui la bocciatura del francese: lingua universale – ma arida e sfibrata perché modellata dall’esterno –, rappresenta l’eccesso di razionalismo del l’età moderna e la fine che attende l’italiano in balia dei precetti imposti dai puristi. Inoltre, osserva Leopardi, il vuoto politico che da tempo grava sulla penisola non aiuta, avendone fiaccato la vita sociale e l’arte, così come la capacità di esprimere «passioni grandi, vive, utili e belle», tanto che, «arrestandosi e mancando la vita, si ferma e impoverisce e quasi muore la lingua». E tuttavia, seppure in un contesto così ostico, queste carte sono la testimonianza della devozione assoluta di Leopardi per un’«arte difficilissima ad acquistare» – quella di ammaestrare e forgiare l’italiano con la scrittura – se non dopo «immensa fatica» e «lunghissimi travagli» («quanti anni spesi in questo studio – confessa –, quante riflessioni profonde, quanto esercizio, quante letture, quanti tentativi inutili»); queste pagine sono un atto d’amore nei confronti di una lingua che non è mai mero strumento e che, nonostante le difficoltà che impone, ai suoi occhi appare ancora «come coperta tutta di germogli», in attesa solo di fiorire.
Fabiana Cacciapuoti, a lungo curatrice del Fondo leopardiano della Biblioteca Nazionale di Napoli, ha conseguito il doctorat d’État presso la Sorbona. Per i tipi della Donzelli ha pubblicato L’Infinito e la Ginestra. Leopardi tra disincanto e illusione (2021), Dentro lo Zibaldone. Il tempo circolare della scrittura di Leopardi (2010), oltre a curare l’edizione tematica dello Zibaldone (1997-2003, 2018) e il catalogo della mostra Il corpo dell’idea. Immaginazione e linguaggio in Vico e Leopardi (2019) da lei stessa ideata. È membro del comitato scientifico del Centro Nazionale di Studi Leopardiani di Recanati.
La partecipazione in Biblioteca è gratuita, ed è consigliata la prenotazione tramite la piattaforma online dedicata oppure contattando la Biblioteca al numero 055 261 6512 e all'indirizzo bibliotecadelleoblate@comune.fi.it La prenotazione è valida fino a 15 minuti prima dell'orario di inzio dell'incontro.
L'incontro sarà trasmesso in diretta streaming con telecamera fissa sul canale Youtube della Biblioteca delle Oblate mentre in differita, il giorno successivo, con un altra ripresa, potrà essere visto sul gruppo Facebook Leggere per non dimenticare. Sul sito www.leggerepernondimenticare.it o sul gruppo "Leggere per non dimenticare" di Youtube, il video potrà essere visto anche sottotitolato.