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giovedì 25 settembre 2025

"La Sistina di Michelangelo. Un’icona multimediale", fotografia e arte a Casa Buonarroti

24-09-2025

Un capolavoro che non smette di generare sguardi, interpretazioni, emozioni. La Cappella Sistina di Michelangelo, tra i più celebri cicli pittorici della storia dell’arte, rivive in una sorprendente chiave di lettura nella mostra di Casa Buonarroti: “La Sistina di Michelangelo. Un’icona multimediale”, in programma a Firenze dal 24 settembre 2025 al 7 gennaio 2026. L’esposizione, promossa dalla Fondazione Casa Buonarroti, in collaborazione con i Musei Vaticani e la Regione Toscana, è stata fortemente voluta dal presidente della Fondazione Cristina Acidini e dal direttore Alessandro Cecchi, per inaugurare le sale espositive restaurate e riallestite al piano terreno della Casa Buonarroti, grazie alla collaborazione di Opera Laboratori che ha prodotto l’esposizione curata da Silvestra Bietoletti e Monica Maffioli.

«Il percorso espositivo, nelle sale opportunamente restaurate, non mancherà di informare, emozionare e sorprendere i visitatori – sottolinea la presidente della Fondazione Buonarroti Cristina Acidini –. Capolavori di una tale altezza continuano ad agire come lievito di creatività anche in tempi difficili, ridando fiducia nell’umanità e nel suo futuro».

Con oltre 60 opere, il percorso espositivo propone la rilettura di uno dei più monumentali e celebri cicli pittorici della storia dell’arte rinascimentale con una suggestiva chiave di lettura: l’‘iconicità multimediale’ della Sistina di Michelangelo. I media, l’incisione, la fotografia, l’editoria illustrata, la cinematografia, i documentari televisivi, la grafica pubblicitaria di carattere commerciale, hanno svolto una significativa azione di traduzione e di interpretazione della complessa narrazione pittorica realizzata dal Buonarroti in Vaticano, divulgandone la documentazione visiva attraverso decine di frammenti, di singole inquadrature, brani pittorici che assumono un nuovo significato, soprattutto nella contemporaneità e in presenza di un contesto sociale per la maggior parte indifferente all’esegesi dell’opera figurativa. Tra le opere esposte numerosi prestiti dall’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, dall’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze, dall’Accademia di Belle Arti di Brera, dall’Accademia di Belle Arti di Firenze, dall’Accademia Nazionale di San Luca, dalla Biblioteca Nazionale Centrale “Vittorio Emanuele II”, dalla Bibliotheca Hertziana, dall’Istituto centrale per la grafica, dal Kunsthistorischen Institut in Florenz e dai Musei Vaticani.

L’opera vaticana di Michelangelo è stata nel corso dei secoli un costante riferimento figurativo per gli artisti, tuttavia, è solo nel XIX secolo tramite il nuovo medium fotografico che la sua conoscenza si diffonde globalmente; nuovi punti di vista ne propongono una puntuale e dettagliata lettura, estrapolando particolari che nel Novecento e nella contemporaneità diventano, in alcuni casi, vere e proprie icone.

«Il restauro della Cappella Sistina diretto dai Musei Vaticani negli anni Ottanta – ricorda la direttrice Barbara Jattaha cambiato radicalmente la percezione del capolavoro michelangiolesco, restituendo forme e colori brillanti e facendo della Sistina “il luogo da visitare”».

Le matrici in rame per le acqueforti di Tommaso Piroli, di Conrad Martin Metz e di Giovanni Volpato, realizzate tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento, traducono su carta le grandi figure della Volta e del Giudizio Universale, operando una selezione critica che propone nuove visioni e forme narrative diverse. Ma è soprattutto la fotografia, a partire dalla prima sistematica campagna di documentazione realizzata tra il 1868 e il 1869 dallo stabilimento alsaziano di Adolph Braun, che si incrementa un repertorio di immagini imprescindibile per gli studi e la conoscenza storico artistica dell’opera di Michelangelo: le campagne fotografiche dei grandi stabilimenti fotografici italiani, dei Fratelli Alinari, di Giacomo Brogi, di Domenico Anderson, ma anche le prime pubblicazioni illustrate con tavole cromolitografiche, come quelle promosse dalla londinese Arundel Society, diventano gli strumenti per gli storici dell’arte e la creazione del ‘mito’ michelangiolesco.

«Questa mostra – spiegano le curatrici Silvestra Bietoletti e Monica Maffioli propone un excursus storico e una nuova chiave di lettura dell’“iconicità multimediale” della Sistina, mostrando come i media abbiano tradotto e diffuso il linguaggio figurativo di Michelangelo fino alla contemporaneità».

L’assenza dei toni cromatici è compensata dalla grandezza dei formati dei negativi e in fase di stampa con il dosaggio delle tonalità dei viraggi o con l’intervento manuale della colorazione all’anilina, aggiungendo ulteriori elementi di ‘traduzione’ rispetto all’opera originale. Dalla metà del Novecento i cromatismi michelangioleschi sono riprodotti con relativa approssimazione dalle pellicole ortocromatiche utilizzate da Frank Lerner per il primo servizio fotografico a colori, apparso nella popolare rivista “LIFE” nel 1949.

Quindici anni dopo Pasquale De Antonis torna nella Sistina con lo storico dell’arte Roberto Salvini lavorando insieme alla prima sistematica campagna di documentazione scientifica del ciclo pittorico michelangiolesco; quello stesso anno, il 1964, Carlo Ludovico Ragghianti realizza il critofilm dedicato a Michelangelo: “un documentario d'arte in cui il linguaggio cinematografico viene adoperato in funzione critica per fornire allo spettatore la giusta lettura di un'opera” come lo ha definito lo stesso autore.

La maggior diffusione delle illustrazioni dell’opera di Michelangelo attraverso le pubblicazioni sia scientifiche che divulgative ha fatto sì che il segno dell’artista, ampiamente riconosciuto dalla cultura di massa, diventasse elemento di rielaborazione da parte di Tano Festa, uno dei più noti esponenti dell’arte pop romana, anticipando il processo di volgarizzazione dell’uso di alcuni particolari, come il noto dettaglio della Creazione di Adamo divenuto un’icona acquisita nell’immaginario popolare e moltiplicata serialmente tanto da essere rielaborata nella pubblicità, nel merchandising, nei souvenirs. L’eclettico e anticonformista storico dell’arte Leo Steinberg, è stato un infaticabile studioso della fortuna a stampa di Michelangelo, tra i primi a considerare senza pregiudizi le figure della Sistina come immagini di consumo, un materiale degno di essere collezionato – come lui stesso farà dagli anni Sessanta – e studiato per capire la profonda ricezione dell’arte del sommo artista toscano nella società del secolo XX, in un’ottica di storia del gusto. In mostra sono esposte più di quaranta riproduzioni tratte dalle stampe della collezione di lampoons di Steinberg in cui l’icona del dettaglio dell’incontro della mano destra di Dio e quella di Adamo, un’immagine in grado di riassumere in sé, nei decenni successivi, il significato, l’intensità, l’essenza di tutto l’affresco anche travisandone i significati d’insieme.

L’ultima grande campagna fotografica documentaria, iniziata nel 1980 dal fotografo giapponese Takashi Okamura e conclusa nel 1999 al termine di uno dei più sensazionali e celebrati interventi di restauro, esalta il ‘disvelamento’ dell’opera originale michelangiolesca, dove il colore diventa la chiave di lettura dell’intera sua opera pittorica rivelando che, al di là del segno, sono l’accesa cromia, che scandisce i volumi, e gli arditi accostamenti di colore a rendere quest’opera una sfida anche della contemporaneità. Sfida raccolta dall’artista canadese Bill Armstrong quando, nel 2015, invitato dai Musei Vaticani, ha interpretato il capolavoro michelangiolesco concentrandosi sulle singole figure e sui loro gesti, creando una serie di nove fotografie intitolata Gestures, in cui l’evanescenza del fuori fuoco, dove galleggiano gli uomini risorti nel giorno del “Giudizio”, è bilanciata dalle accese cromie che danno forma ai corpi. Proprio il fotografo Bill Armstrong sarà protagonista insieme a Tommaso Casini dell’Università Iulm di un incontro in lingua inglese (ingresso libero fino ad esaurimento posti) che si terrà mercoledì 24 settembre alle ore 11 a Casa Buonarroti in occasione del primo giorno di apertura dell’esposizione.

Infine, la mostra si chiude con l’opera “foto-grafica” Not in my name, realizzata nel 2014 dall’artista sudanese Khalid Albaih, e qui l’icona michelangiolesca è veicolo di un messaggio universale, un invito alla riflessione sulla tragedia delle molte guerre che sconvolgono le popolazioni perdendo il senso dell’essenza umana. Un invito quanto mai attuale in questo particolare momento storico.

«La raccolta della famiglia Buonarroti è ancora oggi la più ricca collezione di fogli michelangioleschi al mondo – conclude il direttore della Casa Buonarroti Alessandro Cecchie accogliere questa mostra nel palazzo voluto dal pronipote di Michelangelo significa proseguire una tradizione di memoria e valorizzazione lunga quattro secoli».


Per ulteriori informazioni: https://www.casabuonarroti.it