“Siamo tutti in pericolo”: un avvertimento lasciato da Pier Paolo Pasolini nell’ultima intervista concessa a Furio Colombo, poche ore prima di essere massacrato. Una diagnosi, un presagio, ma anche una sfida etica, civile, umana. A cinquant’anni esatti da quell’assassinio – ancora opaco, ancora ferita – i Chille de la balanza scelgono di partire proprio da lì: da quella frase, da quel grido, da quella verità inascoltata. Nasce così lo spettacolo “Pasolini. Perché?”, scritto da Claudio Ascoli e Sissi Abbondanza, con la regia di Ascoli. Nell’occasione, i Chille prevedono due formazioni che si alternano nelle diverse repliche. Così, in scena, ad Ascoli e Abbondanza - oltre a Rosario Terrone, storico attore dei Chille - si affiancheranno due coppie di giovani attori: Manuel Rossi e Francesca Trianni o Martina Capaccioli e Matteo Nigi. Lo spettacolo ha le musiche originali di Alessio Rinaldi, i suoni di Francesco Lascialfari, le luci di Sandro Pulizzotto, i materiali video di Marco Triarico e l’aiuto regia di Gloria Trinci. A impreziosire le repliche fiorentine, si segnala la presenza amichevole di don Andrea Bigalli, referente regionale di Libera in Toscana e figura da sempre attenta ai temi della giustizia sociale, che interpreterà un brano tratto dagli Scritti corsari di Pasolini: “I dilemmi di un Papa, oggi”.
“Pasolini. Perché?” non è una commemorazione. Non una biografia. Ma una chiamata. Un atto teatrale urgente, bruciante, che prende corpo nella notte di un mondo addormentato, ipnotizzato, anestetizzato. Pasolini non viene celebrato. Viene restituito alla sua funzione più vera: quella di testimone che scende all’inferno e torna per raccontare. A volte sporco, a volte contraddittorio, sempre tragicamente lucido. I suoi occhi – scriveva – hanno visto “più cose”. E quelle cose oggi riguardano tutti noi. Siamo tutti in pericolo perché non sappiamo più dire di no. Perché, come Pasolini ammoniva, non ci sono più esseri umani, ma strane macchine che sbattono l’una contro l’altra. Siamo diventati complici (involontari?) del sistema che ci educa a possedere e distruggere, omologati dalla stessa pedagogia del consumo, della televisione, del consenso. E anche chi si oppone lo fa spesso con il linguaggio del potere stesso: slogan, bandiere, apparenze. Ma la realtà è un'altra. E ci riguarda molto più da vicino. Il teatro dei Chille non accetta di voltarsi dall’altra parte. Per questo “PASOLINI. Perché?” è anche una partitura emotiva e politica, costruita per ferire e per ricordare. Per dirci che il fascismo non è un passato da archiviare, ma un presente che cambia volto, che si veste da amico, che “collabora”, che "non è mica un delitto", ma lo diventa – ogni giorno – sotto la superficie levigata della normalità. È in questo paesaggio, disperato e necessario, che si innestano le quattro lettere-monologhi di oggi nel segno di Pasolini grazie all’intelligenza artificiale - C’E’ UN NUOVO PROBLEMA NEL MONDO: SI CHIAMA COLORE, LETTERA AI GIOVANI DEL PIANETA, LETTERA AI POTENTI DELLA TERRA, GAZA. CON MIO FIGLIO TRA LE BRACCIA - che i Chille qui presentano:
C’è un nuovo problema nel mondo: si chiama colore
Ne “La rabbia (1963) Pasolini profetizzava: “Nel mondo è scoppiato un nuovo problema. Si chiama colore”. E oggi? Non il verde, l’azzurro, il giallo dei limoni, ma il colore della pelle, del passaporto, del sospetto. È un problema sussurrato, presente ovunque: nelle università, nei porti, nei tg con voce calma. Si parla di “tragedie”, ma mai di razzismo. Il mare restituisce corpi senza nome, senza storia, solo colore. Quel colore decide chi merita di vivere o morire. Un bambino galleggia, coperto da un lenzuolo bianco, “ennesima emergenza”. Poi tutti tornano alle loro vite. Il colore è il nuovo fascismo. Il colore è il futuro che abbiamo deciso di non avere. Così il mondo diventa un lager educato, efficiente, dove l’indifferenza è legge. E noi restiamo a guardare, senza vergogna.
Lettera ai Giovani del Pianeta
Arriva una voce. Quella dei figli sopravvissuti, dei giovani traditi, dei ragazzi di oggi e di ieri, a cui parlava Pierpaolo. Quelli che Pasolini amava e temeva, perché sapeva che il Potere li stava già educando a non pensare. In questa lettera, i Chille parlano con tenerezza e rabbia, con disperazione e fiducia. «Non siete voi a essere sbagliati. È il mondo che vi vuole muti. Ma voi, parlate.» Parlate anche se tutto vi chiede il contrario. Parlate anche se non sapete ancora come. È un invito alla disobbedienza come atto d’amore. Alla rottura come unica forma di fedeltà all’umano. Perché “il rifiuto è sempre stato un gesto essenziale” – diceva Pasolini. Ma oggi chi ha il coraggio di rifiutare?
Lettera ai Potenti della Terra
La voce si alza e diventa grido. Una supplica feroce rivolta ai Signori del Mondo, ai governanti, ai padroni delle armi, delle banche, dei media. A loro viene chiesto non solo di fermarsi, ma di guardare. Di vedere davvero. «La pace non si dichiara: si fa. E si fa dove voi non guardate mai.» Pasolini diceva: “Il potere è un sistema educativo che ci divide in soggiogati e soggiogatori”. E aggiungeva: “Uno stesso sistema che ci forma tutti, per questo tutti vogliono le stesse cose e si comportano allo stesso modo.” Nel monologo, il teatro diventa tribunale poetico, luogo in cui il Potere viene chiamato a rispondere del proprio cieco dominio. Ma la vera domanda è: sapremo riconoscerlo, il Potere, quando ci sorride? Quando ci invita a partecipare? Quando ci assolve?
E infine GAZA. Con mio figlio tra le braccia: lo spettacolo si apre e chiude nei luoghi del genocidio dei nostri giorni. La scena iniziale è silenziosa. Un cumulo di fagottini bianchi, lenzuola che racchiudono corpi, vittime innocenti. Corpi piccoli, corpi grandi, corpi senza nome. È un’immagine che non ha bisogno di didascalie. Basta guardarla per sentire il peso del mondo. Ma nell’ultima scena è da uno di quei fagotti che si alza la voce della Madre. Una Madre che tiene tra le braccia il corpo del figlio morto, in un lenzuolo bianco come quello che avvolse un giorno anche il corpo inerme di Pasolini, sulla sabbia dell’Idroscalo. E allora accade qualcosa. Quel fagottino non è più solo un bambino. È… Intanto, la Madre di Gaza ammonisce: «Voi parlate di geopolitica. Io ho un cadavere in braccio. Da che parte state?» Non è una domanda. È un processo. È lo svelamento dell’abisso. Ed è in quel momento che il teatro, come Pasolini chiedeva, diventa luogo di verità. Dove non si può più cambiare discorso. Dove non si può più fingere di non sapere.
“PASOLINI. Perché?” non è solo uno spettacolo. È una presa di posizione. È un grido poetico, politico, civile, che non vuole rassicurare né consolare. Oggi, in questo paesaggio smarrito, dove la passione rischia di essere un gesto inutile, risuonano con forza i versi de Le ceneri di Gramsci, grido disilluso di chi ha scelto di vedere, e proprio per questo è condannato alla solitudine: “Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere / con te e contro te.” “Potrò mai più con pura passione operare, / se so che la nostra storia è finita?”. È in questa lacerazione che nasce “PASOLINI. Perché?” come gesto necessario, mai compiaciuto, sempre bruciante. Nel linguaggio inconfondibile dei Chille – dove corpo, parola, immagine e tenerezza si fondono – questo lavoro si fa rito laico, esercizio di memoria, sguardo sul futuro. Perché oggi, più che maestri, abbiamo bisogno di testimoni. E Pasolini continua ad esserlo.
La prima nazionale si terrà a San Salvi la sera del 1° novembre 2025, nel giorno in cui ricorrono i 50 anni dall’uccisione del poeta. Una data simbolica, una ferita ancora viva. Una scena che inizia con un mucchio di bianchi fagottini e si chiude con una madre che tiene in braccio il corpo del figlio ucciso. La domanda, ancora, resta sospesa: Perché?
Per maggiori informazioni: https://chille.it
Foto: Paolo Lauri