Al Teatro della Pergola di Firenze, dal 2 al 7 dicembre 2025, Antonio Latella dirige Vinicio Marchioni in "Riccardo III" di William Shakespeare, nel ruolo del Re che non è solo un uomo zoppo, gobbo o malvagio: il male è vita, natura, divinità. La traduzione è di Federico Bellini, l’adattamento di Antonio Latella e Federico Bellini.
La malvagità viene rappresentata come bellezza accecante, opulenta, ingannatrice, fatta di seduzione e relazioni pericolose. Marchioni è in scena con Silvia Ajelli, Anna Coppola, Flavio Capuzzo Dolcetta, Sebastian Luque Herrera, Luca Ingravalle, Giulia Mazzarino, Candida Nieri, Stefano Patti, Annibale Pavone, Andrea Sorrentino.
Venerdì 5 dicembre, alle ore 18, Vinicio Marchioni e la compagnia incontrano il pubblico alla Pergola. Coordina Matteo Brighenti. Ingresso libero fino a esaurimento dei posti disponibili, prenotazione online su https://tinyurl.com/incontroriccardoIII Re Riccardo non lotta solo per il trono, ma anche per la sottomissione del femminile, che alla fine sarà la sua rovina, sancita dalla maledizione della Regina madre. La traduzione di Federico Bellini consente di giocare con ritmi e tempi quasi da commedia, richiamando l’Inghilterra vittoriana, e l’adattamento rispetta la complessità della vicenda ampliandola con la figura del Custode, un servitore del male che protegge la bellezza del giardino dell’Eden, pronto a tutto per garantirne la sopravvivenza.
Il cast scelto con cura offre una performance intensa, mettendo al centro il potere della parola shakespeariana. Antonio Latella cerca un male che risiede nella bellezza, non nella disarmonia, paragonandolo al “giardino dell’Eden”; ci invita a vedere nel male non bruttezza, ma bellezza, ricordando che, come scrive nelle sue note di regia, «chi tradì il Paradiso fu l’Angelo più bello».
Note di regia: "
Il male è. Non è una forma, non è uno zoppo. Non è un gobbo. Il male è vita. Il male è natura. Il male è divinità. Il nostro intento è quello di provare ad andare oltre l’esteriorità del male, cercando di percepirne l’incanto. È chiaro che se il male stesso viene rappresentato attraverso un segno fisico il pubblico è portato ad accettarlo, vede la “mostruosità” e la giustifica. Anzi, prova empatia se non simpatia con e per il protagonista. Ma è ancora accettabile questo “alibi di deformità” nel ventunesimo secolo? Probabilmente il Bardo ne aveva bisogno per giustificare al pubblico, in qualche modo, tutte le malefatte del protagonista. Difatti, utilizzò un corpo maschera, molto più vicino a un giullare di corte, al fool, la cui figura era spesso caricata di segni esteriori – come la gobba – che, nel tempo, hanno assunto significati ambivalenti: grotteschi, ma anche propiziatori. Non è un caso che nella cultura popolare si corresse a toccare la gobba per buon auspicio. In alcuni Paesi, Riccardo III viene tolto dai cartelloni di programmazione teatrale, perché potrebbe risultare offensivo per chi convive con una disabilità fisica; argomento delicato in questi tempi dove il politically correct, nel bene e nel male, rischia di diventare censura che muta l’originalità delle opere, decontestualizzandole dal periodo storico a cui appartengono. A noi interessa la forza della parola, la seduzione della parola, e, perché no, la scorrettezza della parola. Il serpente incantò Eva con le parole, o, in ogni caso, bisognerebbe pensare che il serpente fu abile, in quanto riuscì a far staccare la mela dall’albero a Eva, ma fu Adamo a morderla. Quindi, chi dei due peccò? Il male che mi interessa è nella bellezza, non nella disarmonia. Il male è il giardino dell’Eden. Una bellezza accecante, una bellezza che pretende un ritorno al figurativo. Una bellezza opulenta e ingannatrice, fatta di relazioni pericolose, di giochi di seduzione continui. E, in questo, Riccardo III è il maggiore dei maestri. La sua battaglia non è per la corona, non è per l’ascesa al trono, ma è per la sottomissione del femminile, quando è proprio il femminile che gli darà scacco matto; difatti sarà la Regina madre a portare a termine una tremenda maledizione. La traduzione di Federico Bellini mi permette inizialmente di giocare con tempi e andamenti ritmici quasi da commedia, direi wildiana, in una pennellata che rimanda all’Inghilterra Vittoriana. Abbiamo cercato di creare un adattamento dove, pur nella rinuncia ad alcune parti del testo originale, abbiamo provato a rispettare l’interezza della vicenda e la sua trasversalità di significato. Ci siamo presi il lusso, studiando i personaggi del testo, di ampliarne uno già esistente, chiamandolo Custode, apparentemente un servitore del male e di Riccardo III, che, con l’andare della narrazione, si scoprirà essere, in realtà, al servizio della bellezza del luogo; un custode che vuole garantire la sopravvivenza del giardino dell’Eden e, per questo, è pronto a tutto, quel tutto che nel testo si sintetizza con la parola “AMEN”. Infine, e non da ultima, la scelta degli attori: un cast importante, ponderato in modo maniacale, un cast che possa essere forte per talento e dare a ogni personaggio letterario qualcosa di fortemente artistico, un cast che possa ammaliare gli spettatori, mettendo al primo posto del loro lavoro il potere performativo della parola che il Bardo ci consegna e ci lascia in eredità. Sappiamo tutti che la parola può mettere a tacere ogni tipo di guerra, ma nonostante la storia ce lo ricordi continuamente, continuiamo a dimenticarlo e credo, con mio dolore, volutamente: forse, perché siamo stati creati per essere stonatura all’interno della perfezione armonica della prima nota, il DO, o almeno così mi piace pensare. A tutti i miei collaboratori artistici ho chiesto di dare bellezza al male e non bruttezza, perché chi tradì il paradiso fu l’Angelo più bello." Antonio Latella
Per maggiori informazioni:
www.teatrodellatoscana.it Foto: Gianluca Pantaleo